Il tentativo è già di per sé un azzardo. Dopo anni di perdite e debiti, manager dissoluti, partner predatori, dieci miliardi di soldi pubblici bruciati in dieci anni per i salvataggi, chi può garantire che la nuova Alitalia in mano allo Stato potrà essere effettivamente nuova, cioè competitiva, capace di generare business e di non trasformarsi ancora una volta in un buco nero? Non è solo una questione di precedenti. La discontinuità - termine che il Governo usa in queste ore per garantire che questa volta andrà diversamente - passa sì da un nuovo piano industriale, quindi nuove rotte e un nuovo posizionamento sul mercato, ma se questo mercato è ancora tramortito da Covid, gli ultimi arrivati faranno più fatica. Anche per questo il controllo in mano pubblica, che l’esecutivo è orientato a fissare in quattro anni, si configura come una scelta obbligata. Ma non per questo una garanzia per una resurrezione. I particolari del piano industriale per la nuova Alitalia non sono ancora noti. C’è ancora tempo perché nei prossimi giorni sarà varato il decreto interministeriale che avvia la newco, una nuova società con una dotazione iniziale di 20 milioni e senza la zavorra dei debiti del passato. Da quel momento il nuovo management, nominato dal Governo, avrà un mese di tempo per presentare la strategia. Qualche indicazione l’ha anticipata la ministra dei Trasporti Paola De Micheli parlando di "un riposizionamento sul medio e lungo raggio, settori tradizionalmente penalizzati a danno del turismo e dell’imprenditoria". Ma queste linee guida dovranno essere tradotte dai manager della newco in rotte, numeri, previsioni di incasso, rischi di perdite. Niente più e niente meno che un business plan. E questo piano dovrà tenere conto di come Covid ha rimescolato le carte. I pesci più grossi, come Lufthansa, diventeranno ancora più grossi? Una matricola come la nuova Alitalia riuscirà a ritagliarsi una fetta di mercato tale da portarla a diventare grande o comunque autosufficiente? Sono quesiti che accrescono l’azzardo perché non hanno risposta. Quello che il mercato dice oggi è che c’è stato una lieve ripresa dopo il lockdown, l’estate ha spinto qualche viaggio in più, ma il conto del virus è stato così forte che lo squilibrio è evidente. E soprattutto l’andamento dei contagi, così diverso in numeri e intensità nel mondo, non dà garanzie su una ripresa del mercato. Di più. Quando ci sarà, come sarà questo mercato? Ecco allora che la scommessa della nuova Alitalia passa dalla capacità di far coincidere il più possibile il nuovo piano industriale con le previsioni che si possono fare su un mercato ancora infettato da Covid. Tutto quello che era stato pensato prima dello scoppio della pandemia in termini di rotte e business ha ancora senso? Altro quesito a cui bisogna ancora dare una risposta, nella consapevolezza che non può essere definitiva. Ora è evidente che tutti i player devono tenere in conto queste considerazioni. Solo che la nuova Alitalia sconterà una difficoltà aggiuntiva. Non ha un partner industriale al suo fianco. E questo è un elemento che il mercato tiene altamente in considerazione. Quello delle sinergie e delle alleanze è un protocollo che si è imposto sul mercato pre Covid. E tenderà ad accentuarsi, come sta avvenendo in tanti altri mercati. L’azzardo di cui si diceva all’inizio risiede qui: al netto dei precedenti nefasti e non, di una storia fatta di stagioni gloriose e altre nerissime, la nuova Alitalia in mano allo Stato riuscirà a fare business? È un interrogativo che circola con insistenza nelle stanze del Governo in queste ore. Perché ci sono i soldi (fino a 3 miliardi), ci sono il nuovo presidente e il nuovo amministratore delegato (nel decreto sulla newco sarà completato il consiglio di amministrazione), arriverà anche il nuovo piano, ma non c’è il partner industriale per contare sul mercato. Detta in una sola frase: per un periodo "non illimitato di tempo", come ha sottolineato De Micheli, ma comunque consistente, Alitalia dovrà sostenersi con i soldi e la strategia pubblica. E allora l’unico modo per far sì che tra quattro anni qualcuno si affacci alla porta e dimostri interesse, permettendo allo Stato di uscire dalla società, è renderla appetibile. Il che significa dare ad Alitalia una nuova forma societaria, meno aerei (l’ipotesi è di passare da 110 a 70) e una strategia di discontinuità, ma anche pagare un prezzo. Doppio. Il primo è imprevedibile e cioè legato alle eventuali perdite che potrebbero registrarsi se la strategia non funziona o se Covid tiene il mercato azzoppato. Il secondo è più immediato e ineludibile. Nella nuova Alitalia non possono starci tutti gli 11mila lavoratori attuali. L’idea è di fare spazio a 6.000-6.500 di loro. Gli altri resteranno nella bad company, la vecchia Alitalia con i debiti e la gestione in mano al commissario. Il Governo è pronto a sostenere questi lavoratori con la cassa integrazione e favorendo gli scivoli per andare in pensione, ma anche questo è un costo. L’idea è di riassorbire i lavoratori che rimarranno quando il mercato lo consentirà, in modo graduale. Ma la storia industriale italiana più recente è piena di casi in cui i lavoratori fuori dal perimetro sono stati poi allontanati quando la tutela dello Stato è venuta a mancare. Mittal, ad esempio, non vuole riassorbire i dipendenti dell’ex Ilva di Taranto che erano sotto la custodia dei commissari governativi. E così si passa dalla modalità stand-by agli esuberi. D’altronde Lufthansa l’ha detto più volte che Alitalia sarebbe stata un’occasione solo dopo averla ripulita di migliaia di posti di lavori. L’ombrello dello Stato non potrà durare per sempre. E rischia solamente di tenere in freezer i problemi che poi esploderanno quando e se qualcuno vorrà mettere le mani sulla nuova Alitalia.