"Il freno di emergenza non blocca niente, sembra solo un campanello d’allarme!", tuonano nel Parlamento olandese gli oppositori di Mark Rutte mentre il premier, ieri sera, prende la parola sul recovery fund. Il capo del governo più frugale d’Europa è sotto attacco per l’accordo di luglio sul Next generation Eu, intesa che prevede una sorta di ‘freno di emergenza’ a disposizione degli Stati che vorranno vederci più chiaro su come altri Stati spenderanno i nuovi fondi europei per la crisi da covid. L’opposizione gli rimprovera di non essersi fatto rispettare nel diritto di esercitare un controllo vero su come i paesi membri spenderanno i soldi, a partire dall’Italia, paese più colpito dalla pandemia e destinatario della maggior parte delle risorse. E’ in questa cornice, da tenere ben presente, che Rutte sgancia la sua ‘arma nucleare’ sul recovery fund: "Ristabilire l’Europa senza Ungheria e Polonia", dice. Che c’entra? C’entra e molto. In sostanza, nella sua ricerca di una via d’uscita dalle sabbie mobili in cui si è infilato approvando il recovery fund, Rutte si aggrappa al rispetto dello stato di diritto, questione da sempre sensibile per gli olandesi, questione che più volte lo ha portato allo scontro diretto con Viktor Orban. In queste settimane, Ungheria e Polonia sono nel mirino del Parlamento europeo che chiede condizionalità più stringenti sullo stato di diritto: chi non rispetta i diritti, non ha i fondi. Semplice. Di fatto, Rutte con la sua levata di scudi di ieri sera spezza una lancia a favore del Parlamento europeo, cui spetta la parola finale sul bilancio entro dicembre. Finora nessun altro Stato membro lo aveva fatto. Al contrario, nella trattativa in corso tra i negoziatori dell’Eurocamera e la presidenza tedesca di turno dell’Ue (a nome di tutti gli Stati membri), ci sono pressioni fortissime affinché il Parlamento non si metta di traverso. "Il rischio è di bloccare la partenza del recovery fund", ci dice una fonte europea. Perché mai e poi mai Ungheria e Polonia accetteranno di fare passi indietro rispetto alla loro ‘applicazione pratica’ dello stato di diritto, che consta di pressioni sui magistrati, stampa, sindacati, discriminazioni delle comunità LGBTQ+. Anzi, Budapest minaccia di non approvare in Parlamento la parte del pacchetto che richiede il visto degli Stati membri: quella sull’istituzione di risorse proprie (digital tax, carbon tax) per finanziare il debito comune che la Commissione europea dovrà contrarre per raccogliere le risorse del recovery fund sul mercato. Un bel caos, nel quale Rutte, capo dell’opposizione ‘frugale’ al recovery fund a luglio, si infila. Il premier olandese chiede al Parlamento europeo di esercitare "maggiore pressione" su Ungheria e Polonia. Oltre alla cornice politica che lo inquadra in Olanda, va tenuto presente anche il fatto che Rutte è candidato alle politiche del 2021. Il recovery fund potrebbe essere la sua fine, se fallisce nel tentativo di farlo digerire ad un elettorato ostile anche alla sola idea di contribuire al bilancio dell’Ue. Ma, certo, se sullo stato di diritto la temperatura si alza davvero, il rischio che l’intero pacchetto slitti e non parta diventa reale. Per l’Olanda, naturalmente, non sarebbe un problema. Per l’Italia sì, eccome.

ANGELA MAURO