Rimpasto. Ora il premier lo sa ufficialmente che al Pd questa parola preme più delle altre. Lo conferma Andrea Orlando, numero due del partito. Rimpasto, Andrea Orlando getta la maschera. Dice apertamente che a ottobre ci sarà bisogno di una svolta. Il vice segretario dei Dem usa un termine automobilistico: "Al nostro partito necessita un "tagliando" come nelle vetture che dopo un certo numero di chilometri debbono andare in officina".

Che significato hanno queste affermazioni per Giuseppe Conte? Francamente non lo tranquillizzeranno perché se un personaggio così autorevole del Pd pronuncia queste frasi vuol dire che qualcosa in pentola bolle. Che cosa? Certo, sarà indispensabile verificare come andranno i due voti di domenica prossima. Se il centro sinistra non uscirà con le ossa rotte allora il Presidente del Consiglio potrà trarre un sospiro di sollievo. Ma se al referendum dovessero vincere i no e alle regionali il flop sarà disastroso, i Dem non potranno più aspettare.

Le conseguenze, in parole assai semplici, potranno essere due. O il premier va da Mattarella e gli confessa che così non si può andare avanti. O Palazzo Chigi pur non cambiando inquilino dovrebbe accettare una situazione non proprio idilliaca. Facciamo un esempio: se il rimpasto dovesse interessare i ministeri chiave dell’esecutivo, Conte se la sentirebbe di continuare la sua esperienza avendo contro una buona parte dei suoi collaboratori?

Si mettono già le mani avanti per preparare l’opinione pubblica a un eventuale cambio della guardia. Soprattutto perché Conte gode di una grande popolarità e molti italiani non vedrebbero di buon occhio una simile rivoluzione. Così Nicola Zingaretti, chiudendo a Modena una buona festa dell’Unità, usa parole forti, ma non definitive nei confronti degli alleati: "Basta con i ritardi e gli attacchi. Con le polemiche e gli agguati pure del fuoco amico. Si sappia che il Pd è l’unico partito che può fermare e battere l’avanzata della destra".

In ugual modo Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia Romagna, tenta di persuadere i fuggitivi. Rivolgendosi a Renzi e Bersani che potranno tornare quando vogliono a casa loro. Però, c’è chi fa notare allo stesso Bonaccini che il leader di Italia Viva, tranne che nelle Marche e in Toscana, "sarà sempre contro di noi nelle elezioni regionali". Insomma, indipendentemente dalla scelta di un ministro o l’altro, il Pd invoca una fase nuova ed è per questo che bisogna aprire.

A chi? Non si sa. Meglio aspettare la manna dal cielo. La quale potrebbe arrivare anche dalle prossine consultazioni. Dicono ancora i seguaci di Zingaretti: "L’Italia è piena di indecisi e il risultato non è poi così scontato". Il pericolo viene soprattutto dagli avversari del centro destra, i quali in precedenza erano sparati a dire si (lo fecero anche nelle quattro votazioni parlamentari). Adesso vorrebbero cambiare idea. Il motivo è presto detto.

Lo esprime in maniera franca Giorgia Meloni: "Se i no dovessero trionfare sarebbe assai più facile dare la spallata definitiva al governo giallorosso". Sarà questa, dunque, una settimana determinante per il futuro del Paese. Perché alle beghe politiche si aggiungono i mali di tutti i giorni, in primis il virus che non arretra e i problemi della scuola ancora in alto mare.

A ingarbugliare ancora di più le acque, il Pd lancia una sua candidata al Campidoglio al posto di Virginia Raggi: Monica Cirinnà, la senatrice dei Dem che fece approvare la legge sulle unioni civili. Tra maschietti o femminucce tanto per intenderci. "Ottimo nome", commenta Dario Franceschini, ma dobbiamo ancora andare alla ricerca di nuove personalità".

BRUNO TUCCI