La Serie A, che ha inaugurato ieri sera la stagione 2020/21 con il match tra Fiorentina e Torino, è un’ azienda che brucia un milione al giorno. Una tendenza ad accumulare perdite e debiti (l’indebitamento lordo viaggia verso i 4,5 miliardi) insostenibile già prima della pandemia di Covid-19 e che ovviamente è stata acuita dal lockdown. Se al 30 giugno 2019, come certificato dall’ultimo Reportcalcio di Figc, PwC e Arel, il deficit dei 20 club del massimo campionato era pari a 275 milioni, i bilanci della stagione appena conclusa vedranno aggravarsi questo squilibrio a causa dei mancati introiti provocati dall'emergenza sanitaria (almeno 90 milioni per la chiusura degli stadi, oltre alla riduzione delle entrate commerciali e per tacere della controversia giudiziaria in atto sull'ultima rata dei diritti tv non versata da Sky).

Il deficit strutturale della Serie A tra ricavi e costi, dunque, corre verso i 350 milioni e se non è ancora esploso è solo grazie al fatto che le società tricolori hanno operato massicciamente nel calciomercato generando nelle ultime tre annate plusvalenze per 2,1 miliardi (700 milioni di media). Il solo costo della rosa vale a dire gli ingaggi lordi dei tesserati (1,6 miliardi) più gli ammortamenti dei cartellini (650 milioni) assorbe l’ 85% dei proventi ordinari dei club (diritti tv, stadi e sponsor) che quindi devono ricorrere alle entrate del calciomercato o indebitarsi per far fronte agli altri costi operativi (1,3 miliardi) e non hanno risorse per gli investimenti. E invece è proprio in questa fase che sarebbe necessario rafforzare questi ultimi.

La crisi rende altresì improcrastinabile l'adozione di un piano strategico comune da parte di Figc, Lega e club. Tra il 2014 e il 2019 i ricavi commerciali sono passati da 361 a 636 milioni, segno che soprattutto alcune realtà (come Juve e Inter) hanno lavorato bene su questo fronte. Così non è stato invece per gli stadi che peraltro il Governo ha deciso di tenere chiusi fino a metà ottobre, a differenza di Germania e Francia dove si va verso una progressiva riammissione del pubblico sugli spalti. A prescindere da ciò, la Serie A incassa dal botteghino solo 300 milioni a stagione. Il Real Madrid da solo ne incamera oltre 100. Procedure per ristrutturare o rinnovare gli stadi sono state attivate, in alcuni casi da troppi anni, in tante città.

Con il Decreto semplificazioni peraltro è caduto l'alibi delle Soprintendenze: gli impianti sportivi, salvo casi particolari, non sono infatti più soggetti a quei vincoli di natura storica, culturale, architettonica o paesaggistica che si sono spesso trasformati in ostacoli burocratici insormontabili. Servirebbe ora un’ intesa tra enti locali e club per accelerare le opere. Basterebbe d'altronde alzare la percentuale di riempimento medio degli impianti dal 60 all’ 80% per ottenere 80 milioni in più.

Altro tema è quello dei diritti tv. La Lega sta valutando le offerte di due cordate (Cvc, Advent e il gruppo italiano Fsi da una parte e Bain Capital e Nb dall'altra) che hanno messo sul piatto circa 1,5 miliardi per il 10% della futura media company (di cui incasserebbe il 15% degli utili annuali, a vita Cvc e per 50 anni Bain). Una rivoluzione (ma la Serie B è già in subbuglio) che avrebbe lo scopo di guadagnare di più rispetto ai circa 1,4 miliardi attuali, recuperando terreno specie all’estero (dove la A incassa 350 milioni, la Premier 1,6 miliardi). Una sfida tutt'altro che semplice. Peraltro andrà sciolto il nodo del canale della Lega, mentre a breve sarà emanato il bando per il triennio 2021/24 destinato a un mercato domestico che appare statico.

Intanto, il presidente della Figc Gabriele Gravina sta lavorando a un nuovo format, con un campionato diviso in tre fasi e una final eight per assegnare il titolo. Un’innovazione che mira a restituire appeal al torneo ma che rischia di scontrarsi con i pregiudizi di chi interpreta i cambiamenti come un escamotage per far vincere uno o far perdere altri. Ma tra non molto, senza riforme, a vincere in Serie A potrebbe non essere più nessuno.

Marco Bellinazzo