La vittoria del Sì al referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari è una buona notizia per la Repubblica Italiana. Sia chiaro, non è una riforma della Costituzione, non è elemento di aiuto alle finanze pubbliche (argomentazione ridicola e miserabile), non è uno strumento di certa utilità per restituire al Parlamento una centralità perduta (forse per sempre). Però è una buona notizia perché ci colloca all’avanguardia mondiale nel numero ridotto di membri delle assemblee elettive (al tempo di De Gasperi non esisteva il telefonino, né la posta elettronica, né Facebook) ed è quindi un modo per reinterpretare in chiave più moderna il rapporto tra eletto ed elettore.

Ed è una buona notizia anche perché abbiamo visto negli ultimi anni arrivare in Parlamento troppa gente non all’altezza del compito, persone scelte attraverso meccanismi di selezione familistici e da retrobottega, per poi osservarle ciondolare nelle stradine del centro di Roma in cerca di un ristorante da raggiungere. È quindi auspicabile (ma non certo) che un numero ridotto di posti a disposizione induca i leader (unici veri titolari della decisione su chi viene eletto, altro che quelli che vanno al seggio) a scegliere con più cura i candidati.

Infine è una buona notizia perché rende più difficile ogni mascheramento di appartenenza, tipicamente espresso attraverso l’adesione al gruppo misto (i cui numeri sono esplosi nella Seconda Repubblica), vero fenomeno di trasformismo parlamentare travestito da indipendenza di giudizio. Certo, corriamo il rischio di una politica ancor più verticistica (tendenza per la verità di gran moda in tutto il mondo), ma già oggi sono meno di venti persone ad avere reale voce in capitolo sulle candidature, come sanno perfettamente tutti quelli che maneggiano la materia.

Sono quindi a mio avviso del tutto fuori luogo le grida di dolore di tutti quelli che temono sfracelli. Gli unici che hanno davvero qualcosa da temere sono alcune centinaia di eletti in questa legislatura e alcune centinaia di aspiranti per la prossima. Loro sì che hanno motivo di dispiacersi.

Roberto Arditti