"Abbiamo urgente bisogno di un accordo globale sul pacchetto", vale a dire sul quadro finanziario pluriennale Ue e il Recovery Fund, ma le trattative procedono "troppo lentamente" e così "corriamo il rischio di ritardare anche il Recovery Fund". Mentre si avvicina pericolosamente la scadenza per un’intesa sul bilancio europeo 2021-27 (fine anno), l’ambasciatore tedesco presso l’Unione Europea Michael Clauss lancia l’allarme con un’apposita nota. Ancora una volta i freni arrivano dall’est dell’Europa: Viktor Orban minaccia di ritardare l’arrivo dei fondi del recovery fund. Ma l’ungherese non è l’unico. Ieri nella riunione degli ambasciatori degli Stati membri, ben 7 paesi non hanno dato la luce verde: oltre all’Ungheria, anche la Polonia, che chiedono di non avere condizionalità sullo stato di diritto; e poi frugali che vogliono garanzie sui rebates. Si fa presto a dire che per l’Italia sono previsti 209 miliardi delle risorse stanziate dall’Unione Europea a luglio per far fronte alla crisi finanziaria da covid. Ma da qui all’erogazione dei fondi ci sono ancora passi da compiere, per niente scontati. Non ci riferiamo solo ai progetti che il governo dovrà presentare per avere accesso alle risorse. Prima di tutto ciò – i progetti definitivi dovranno essere presentati a partire da gennaio, esaminati entro aprile 2021 – è necessario che il Parlamento europeo raggiunga un’intesa con la presidenza tedesca dell’Ue, in rappresentanza del Consiglio degli Stati membri, sul bilancio europeo, la ‘culla’ del recovery fund. L’Eurocamera però sta chiedendo di rafforzare le condizionalità che legano l’uso dei fondi al rispetto dello stato di diritto: una mossa che punta a colpire gli Stati dell’est, in particolare Polonia e Ungheria, da tempo nel mirino dell’Unione per queste violazioni, ma mai sanzionate dal Consiglio Europeo. E qui si è impantanato il negoziato. L’ungherese Orban non ci sta. Vuole che passi l’accordo raggiunto a luglio con gli altri leader europei, formula molto blanda sul rispetto dello Stato di diritto. Come contromossa, il premier di Budapest minaccia di non approvare in Parlamento il capitolo del recovery fund sulle risorse proprie, istituzione di nuove tasse comuni sul digitale, sul carbone, sulle transazioni finanziarie a garanzia del debito europeo da recovery fund. Ma se questo capitolo non viene approvato dai Parlamenti nazionali degli Stati membri, il recovery fund non parte. Non solo Orban. Con lui, la Polonia. Ma oggi la faccenda si è complicata nella riunione degli ambasciatori degli Stati membri (Coreper). Sette Paesi non hanno sostenuto la proposta di una procedura scritta per l’adozione del capitolo ‘risorse proprie’, che avrebbe aperto la strada alle ratifiche dei parlamenti nazionali, per il Recovery Fund, spiegando di voler prima vedere l’insieme del pacchetto, compresa la decisione del Bilancio 2021-2027. Secondo quanto si apprende da fonti diplomatiche europee, a negare la luce verde, per motivi diversi, sono stati i Paesi frugali (Olanda, Austria, Danimarca e Svezia), la Finlandia, Polonia e Ungheria. In particolare i Frugali temono di vedere ridotti o cancellati i ‘rebates’ (gli sconti sul Bilancio) nella trattativa col Consiglio, mentre Polonia e Ungheria intendono vederci chiaro sulla condizionalità sullo stato di diritto. Sono questi i passaggi ancora incompiuti che gettano un’ombra sulle risorse del ‘Next generation Eu’ o almeno sui tempi dell’erogazione effettiva. Lunedì ci sarà un nuovo round negoziale tra Parlamento europeo e presidenza tedesca. L’ambasciatore tedesco Clauss fa appello ad "aumentare notevolmente il ritmo dei negoziati". Il bilancio comunitario per il 2021-2027 e il Recovery Fund "sono politicamente e tecnicamente inseparabili" e "il tempo stringe, scrive. "L’Europa deve mantenere la sua parola", avverte Clauss sottolineando che la spaccatura più importante è sulla condizionalità legata al rispetto dello stato di diritto. "Siamo pronti ad accelerare i negoziati ma il Consiglio non mostra alcuna reale volontà di trattare", risponde Johan Van Overtveldt, presidente della Commissione Bilancio dell’Europarlamento. "Gli Stati membri - continua - devono muoversi e presentare serie controproposte sulle integrazioni per i programmi dell’UE e sulle risorse proprie. Naturalmente il Parlamento non vuole giocare d’azzardo, il Trattato prevede una rete di sicurezza in caso di mancato accordo, un piano di emergenza, che sia la Commissione che il Consiglio si sono finora rifiutati di prendere in considerazione, che consentirebbe ai programmi di entrare in funzione il 1° gennaio 2021 sulla base degli importi 2020″. Cioè con meno soldi.

ANGELA MAURO