Per ora le istituzioni italiane e i policy makers sul Recovery Fund hanno sbagliato approccio. Si può cambiare rotta, ma non c’è tempo da perdere. Perché, per dirla con Papa Francesco, "peggio di questa crisi c’è solo il rischio di sprecarla". Non avremo un’altra occasione così per costruire, come dice il Manifesto di Assisi promosso dalla Fondazione Symbola e dal Sacro Convento, "un’economia e una società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro". Per dare all’Italia un orizzonte condiviso in grado di mobilitare le migliori energie. Per dare all’Europa una missione capace di rafforzare suo ruolo e il suo carisma nell’economia e nel mondo. Le risorse variamente mobilitate, dopo un lungo confronto, sono ingenti, e le direzioni indicate dall’Europa chiare: sanità – coesione, transizione verde, digitale. Di altro si discute, nella sostanza, in Italia. Ogni soggetto politico e non solo sembra voler riproporre i suoi cavalli di battaglia. I più vari. Dalla riduzione delle tasse ad una Babele di progetti in parte giacenti da anni nei cassetti. Quasi fosse una lotteria cui partecipare sperando nella fortuna. O nella trattativa politica nazionale. Un ministro aveva addirittura annunciato di voler sottoporre al Recovery Fund l’ipotesi di un tunnel sotto lo Stretto di Messina. Un progetto del tutto estraneo alla finalità dei finanziamenti europei e Alla tempistica del loro utilizzo. Una specie di assist al primo ministro olandese Mark Rutte: la prova provata che non si dovevano destinare tante risorse (209 miliardi di euro) ad un Paese inaffidabile. Almeno questo alla fine ci è stato risparmiato. Il Governo italiano e gli italiani si sono mossi, al netto di errori comprensibili in una situazione così terribile, bene rispetto ad altri grandi Paesi. E continuano a farlo, meritando il rispetto di tutti. E le improbabili battute di Boris Johnson. Conte ha gestito (grazie anche all’impegno anche di Gentiloni, Gualtieri, Amendola, Sassoli) molto bene la trattativa in Europa. Poi abbiamo perso il filo. Gli Stati Generali sono sembrati un esercizio di comunicazione. Il cosiddetto piano Colao, un approfondito esercizio accademico, scomparso dall’orizzonte della discussione. E potremmo continuare. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, è stata sempre invece molto chiara sia nell’indicare l’orizzonte, ulteriormente precisato da un innalzamento al 55% degli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 al 2030, sia nel collocare le risorse. Il 37%, ad esempio, destinato ad affrontare la crisi climatica ha pochi punti di contatto con le centinaia di progetti presentati. Eppure l’Italia ha molto da dire nella costruzione di un’economia più sostenibile, di qualità, legata alla comunità e ai territori. Ad esempio pochi sanno che il nostro Paese è una superpotenza nell’economia circolare e recuperiamo nei cicli produttivi il doppio delle materie prime della media europea, molto più della Germania. Con un risparmio annuale di 21 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e 58 milioni di tonnellate di CO2. Da questa Italia dobbiamo partire anche per utilizzare l’occasione che l’Europa si è data e ci offre, con il Recovery Fund, di cambiare pelle e affrontare il futuro con coraggio "senza lasciare solo nessuno, senza lasciare indietro nessuno".

ERMETE REALACCI