Sono giorni che Giuseppe Conte è pronto per dare un annuncio. Importante per lui e per tutto il Governo perché sblocca una partita industriale e politica di peso: la rinascita di Alitalia. Ma il premier è costretto sempre a rinviare. In attesa che i 5 stelle si mettano d’accordo tra di loro.

Il decreto interministeriale per la newco è pronto da settimane, ma i quattro ministri coinvolti - quello dell’Economia Roberto Gualtieri, il titolare dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, la ministra dei Trasporti Paola De Micheli e quella del Lavoro Nunzia Catalfo - non possono apporre la loro firma perché i grillini litigano tra di loro sui nomi da indicare per due posti nel nuovo consiglio d’amministrazione. E così slitta l’annuncio. E slitta anche la messa a punto del piano industriale. Per la nuova Alitalia è tutto deciso. Ci sono i soldi, con una dotazione iniziale di dieci milioni e un plafond fino a tre miliardi, una società nuova di zecca e senza debiti, le figure apicali (Francesco Caio nel ruolo di presidente e Fabio Lazzerini amministratore delegato), persino il nuovo Statuto.

Insomma le basi per mettere in moto il lavoro dei manager di Stato chiamati a scrivere il piano industriale. Di tempo ce n’è perché a disposizione ci sono trenta giorni, ma questi trenta giorni scattano dalla costituzione della newco. E però la newco non parte se il decreto non viene firmato. Un cortocircuito, quello interno ai 5 stelle, che fonti di Governo di primo livello collegano alla crisi che i pentastellati stanno attraversando al loro interno. Sul tavolo di Patuanelli è arrivata una lunga lista, ma da quella lista vanno tirati fuori due nomi. La grande frenata sul dossier Autostrade dice due cose. La prima è il ritorno della grande partita delle nomine.

Oggi tocca ad Alitalia, nelle prossime settimane toccherà ad altre 364 poltrone, dalle società collegate a Fs fino alla Zecca dello Stato. E questa partita ripropone un tratto atavico: litigi, pre-accordi e accordi, incastri. Sia dentro i singoli partiti della maggioranza, sia nelle relazioni tra i partiti che esprimono il Governo. La seconda è la misurazione della crisi di uno dei partiti di maggioranza, il Movimento 5 stelle appunto, dove oramai le diverse anime battagliano su ogni tema all’ordine del giorno. Il combinato disposto di questi due elementi blocca la partita più generale della nuova Alitalia. E al suo interno questa partita registra un rinvio delle questioni più calde, a iniziare da quella degli esuberi.

Il piano industriale ancora deve essere scritto, ma la convinzione che circola tra i manager chiamati a farlo è che bisognerà mettere in piedi un piano sostenibile con un fattore imprescindibile: Covid. Il mercato aereo non ha prospettive di rimbalzo nei prossimi mesi e la nuova Alitalia si trova a partire in un contesto ancora più complesso rispetto a quello che spetta solitamente a una compagnia che prova a tarare il peso del suo restyling. Il rischio è quello di non riuscire a intercettare, in termini di rotte e numeri di aerei, il mood di un mercato vulnerabile, dove i grandi player possono contare su una solidità maggiore rispetto a una compagnia che punta su un nuovo piano industriale.

Non è un caso se la newco sarà in mano allo Stato per almeno quattro anni. Un tentativo di sostenere il più possibile il nuovo corso, ma anche la consapevolezza che servirà tempo per trovare un partner industriale. E poi c’è la grande questione degli esuberi. Per essere appetibile e per tenere il ritmo del mercato non tutti gli 11mila lavoratori potranno fare parte della nuova avventura di Alitalia. L’ipotesi è di tirare dentro seimila di loro e lasciare gli altri cinquemila nella bad company. Per quest’ultimi sarebbero pronti sostegni sotto forma di cassa integrazione e e scivoli per la pensione. Ma i numeri dipendono dal piano.

E il piano dipende dal decreto. E il decreto dipende dai posti in consiglio di amministrazione. La situazione è troppo ingarbugliata. E dagli annunci delle ultime settimane su un decreto "di fatto pronto" si è passati alla consegna del silenzio. Fino a quando tutti saranno d’accordo sui nomi.

di GIUSEPPE COLOMBO