Dopo il voi fascista, il lei sembrò quasi una ventata di cordialità, un avvicinamento sociale. Negli anni Cinquanta era una sorta di linea invisibile di separazione fra le classi, mal sopportato da una certa nobiltà, mentre per la borghesia fu una bandiera, un recinto contro un tumolto in uso nel proletariato solidale. Diverso era il tu rivolto a sottoposti o a socialmente inferiori: più istintivo che classista, al punto che la forma di cortesia era diventata un’arma nei confronti di chi rivendicava diritti, per tenerlo a distanza fingendo rispetto, con implicita ironia.

Il lei ammantava di grigiore la classe media, che lo usava anche nei rapporti di amicizia, escludendo quelli iniziati in età giovanile. Se due signore erano state compagne di scuola e si trovavano con i rispettivi mariti, questi, dopo un certo tempo, talvolta osavano proporsi a vicenda di accorciare le distanze. Ma nessuno dei due avrebbe dato del tu alla moglie dell’altro e, comunque, l’approccio era possibile solo fra parigrado: se uno dei mariti fosse stato impiegato a l’altro capo-ufficio, anche di un’altra azienda, la proposta era quasi impensabile. Come lo sarebbe stata con una differenza di età troppo vistosa.

Dalla fine degli anni Settanta la situazione si è sciolta. Dapprima lentamente, poi il lei ha subito fantasiose variazioni d’uso e ha iniziato a vacillare il fattore generazionale. Il permissivismo nell’educazione dei giovani li ha resi protagonisti più nei sogni che nella realtà. E il tu a chiunque è diventato naturale e democratico. Ma la carta vincente è il calcolo di un’agenzia specializzata secondo cui in un certo anno gli uomini hanno speso più delle donne in cure di bellezza. Questo spiega perché la maggior parte dei cinquantenni evitino di irrigidirsi davanti al tu automatico di giovanotti un tempo definiti impudenti: non è più mancanza di rispetto per una canizie peraltro celata da parrucchieri complici, ma è la prova che il loro lavoro aveva dato ottimi frutti. Situazione ribaltata: il lei di un ragazzino non è più rispetto, ma insulto agli stress ringiovanenti.

E poi, in una logica in cui i giovani pensano digitale e i finti giovani si auto-traducono dall’analogico (spesso non proprio in tempo reale), la libertà che si prende persino un tredicenne è un alloro, è il riconoscimento di un patetico trasloco in epoche altrui. Ricorrendo, in casi estremi, persino al tragico, finto amore per rap e dintorni. Una volta sdoganata, un’epoca è però destinata a iniziare il proprio conto alla rovescia, prima di essere sepolta. Ed è per questo che ogni opportunità va sfruttata finché esiste. Così, accanto al tu familiare e a quello cosmetico, arriva il tu aziendale. Multinazionali della comunicazione, quelle dei no replay (loro ti scrivono ma tu non puoi rispondere) hanno call center in cui ragazzine albanesi chiedono "che cosa posso fare per te, caro?", agli ultimi commenda in pensione, i quali magari non si tingono, ma, alla fine, sorridono perché si sentono ancora in gioco, anche se molto, molto virtualmente. E il trucco psicologico, anche alla spicciolata, è più raffinato di quanto non si pensi.

Negozio di videogiochi, due tecno-ragazzi a fare i buttadentro. Si sono inventati una pellicola che protegge il sacro smartphone davanti e dietro: costa come quattro cover e ha addirittura un contratto di manutenzione a vita, forse prevedendo che il cellulare ci seppellirà. Uno dei due attira con tatto un sessantenne, gli propone sconti vistosi perché è martedì, gli stessi del mercoledì e degli altri giorni. Gli parla in un tecnologichesecomprensibile, lo fa sentire dentro la storia, ma per evitare eccessi demagogici lo tratta con vecchio rispetto. Lui dice che ci penserà, poi fa un giro, ripassa, ma questa volta il ragazzo gli sorride: "Torna quando vuoi!". Il signore tornerà.

GIAN STEFANO SPOTO