Come ormai noto, il governo ha deciso di prorogare lo stato di emergenza fino al 31 gennaio 2021. Una scelta motivata dal nuovo aumento dei contagi e dalla necessità di mantenere operativa la struttura di coordinamento creata in questi mesi per far fronte alla pandemia. Questa scelta tuttavia comporta alcuni aspetti critici da non sottovalutare. Come stabilito dal codice di protezione civile infatti durante lo stato di emergenza è possibile operare in deroga alle leggi e con vincoli allentati sia per quanto riguarda gli obblighi di bilancio che la trasparenza.

Un quadro normativo semplificato volto a dare risposte rapide nell’immediatezza dell’emergenza ma che lascia spazio a molti dubbi se adottato nel lungo periodo. In questi mesi infatti gli spazi per il confronto democratico si sono ridotti con il governo che ha accentrato su di sé gran parte delle decisioni.

COME CAMBIA IL QUADRO NORMATIVO CON GLI ULTIMI INTERVENTI

Lo stato di emergenza è stato dichiarato lo scorso 31 gennaio e rimarrà quindi in vigore almeno per 12 mesi (il massimo previsto dalle norme è di 24). Come abbiamo detto in questo contesto è possibile operare in deroga alla legge grazie al potere di ordinanza che è stato conferito al capo della protezione civile Angelo Borrelli. Abbiamo già analizzato in passato come questo regime straordinario abbia modificato il quadro normativo e la catena di comando. In questa sede ci limiteremo quindi a citare le norme introdotte più di recente. La costituzione prevede la possibilità di limitare le libertà dei cittadini se c’è in gioco la salute pubblica Il decreto legge 125 emanato il 7 ottobre oltre a prorogare lo stato di emergenza prevede una stretta sull’uso delle mascherine che tornano obbligatorie anche all’aperto.

Prevista anche una limitazione al campo d’azione delle regioni che potranno emanare solo provvedimenti più restrittivi rispetto a quelli del governo. Mentre eventuali allentamenti dovranno essere concordati con il ministero della salute. Nello stesso giorno è stata emanata anche una nuova ordinanza che prevede limitazioni per chi arriva da alcuni paesi esteri considerati particolarmente a rischio. Infine il consiglio dei ministri ha approvato la nota di aggiornamento al documento di programmazione economica e finanziaria (Nadef) che prevede la possibilità di un ulteriore indebitamento per 22 miliardi di euro. Questa disposizione dovrà essere approvata dal parlamento con maggioranza assoluta. Il governo sta valutando inoltre la possibilità di ulteriori restrizioni qualora la situazione dovesse peggiorare nei prossimi giorni.

IL RUOLO MARGINALE DEL PARLAMENTO

Il perdurare dell’emergenza comporta però alcuni problemi. In questa fase infatti si stanno riducendo gli spazi per il confronto democratico. Il parlamento in particolare sta ricoprendo un ruolo di secondo piano. Numeri alla mano infatti il governo (o altri organi ad esso collegati) ha monopolizzato l’iter decisionale. Dei 368 atti pubblicati dall’inizio dell’emergenza a consiglio dei ministri, 24 dal governo nel suo complesso e 19 dalla struttura che fa capo al commissario Arcuri.

Di questa mole di atti, solo una piccola parte è stata sottoposta al controllo di legittimità operato dal parlamento e dal presidente della repubblica. Si tratta dei 22 decreti legge varati dal governo a cui si possono aggiungere 4 decreti del presidente del consiglio dei ministri emanati dopo dell'approvazione dell'emendamento Ceccanti al decreto lockdown. Tale emendamento impone infatti al governo presentare preventivamente i nuovi Dpcm in parlamento per raccogliere eventuali osservazioni. Se nella prima fase della pandemia questo poteva essere considerato legittimo, con il trascorrere dei mesi si sarebbe potuto fare di più per ampliare il dibattito pubblico. La maggior parte delle decisioni relative all'emergenza è stata presa invece con atti di carattere amministrativo che quindi non necessitavano del via libera del parlamento e del Quirinale per essere approvati.

LE FORZATURE DEL GOVERNO

Come abbiamo visto dunque la condizione emergenziale ha conferito all'esecutivo un ampio margine di manovra con scarse possibilità per il parlamento di intervenire. Questo anche perché è stato fatto un massiccio ricorso ai voti di fiducia. Una pratica non certo nuova ma che negli ultimi mesi si è ulteriormente accentuata. L’esecutivo può decidere di mettere la fiducia su un disegno di legge, legando il proprio destino a quello del testo. Nasceva per ricompattare la maggioranza in situazioni eccezionali, ma viene sempre più utilizzato per velocizzare il dibattito e assicurare l’approvazione delle norme.

Un'altra cattiva dinamica ripetutasi frequentemente negli ultimi mesi è stata quella di presentare i provvedimenti in parlamento all'ultimo minuto. In questo modo deputati e senatori si sono visti costretti in più di un'occasione a votare su provvedimenti di cui non conoscevano nel dettaglio il contenuto, non avendo avuto il tempo materiale di approfondire.

Solo per citare un esempio recente, l'informativa del ministro della salute Roberto Speranza relativa alla necessità di prorogare le misure contenute nel Dpcm del 7 settembre si è tenuta ad un giorno dalla scadenza dell’atto. Il dubbio che sorge è che questa condizione di eccezionalità venga sfruttata dall'esecutivo per aggirare alcuni dei paletti che in condizioni normali sarebbero posti a tutela dei cittadini contro gli sprechi di denaro pubblico e le infiltrazioni del malaffare. Per altro questo protagonismo del governo non ha significato maggiore rapidità ed efficienza. Infatti possiamo notare come quasi il 70% dei decreti attuativi necessari per l'implementazione delle misure contenute dei decreti legge manchino ancora all’appello.

SERVE UNO SFORZO DI TRASPARENZA

Come abbiamo visto quindi il governo in questi mesi ha accentrato su di sé la maggior parte delle decisioni. La limitazione degli spazi dedicati al controllo democratico, giustificata con la necessità di agire con urgenza, non ha trovato però riscontro nella realtà dato che si sono comunque verificati significativi ritardi. Il dubbio è che la logica emergenziale venga sfruttata per mascherare il fatto che la macchina amministrativa italiana è complessa e poco efficiente.

Lo stesso premier Giuseppe Conte ha ammesso che la proroga dello stato di emergenza si è resa necessaria per mantenere operativa la struttura che sin qui si è occupata di gestire l’emergenza. Una motivazione tuttavia che lascia spazio a qualche perplessità. Ci troviamo infatti di fronte ad una situazione inedita per il nostro paese. Lo strumento dello stato di emergenza in passato è stato utilizzato centinaia di volte ma mai aveva coinvolto nello stesso momento tutto il territorio nazionale. Il prolungarsi a lungo termine di questa condizione non va sottovalutata. Soprattutto quando queste decisioni incidono in maniera importante sulla vita dei cittadini.