Un fantasma si aggira sugli Stati Uniti a tre settimane dal voto del 3 novembre. È l’eventualità che Donald Trump, qualora si prospetti la vittoria di Joe Biden, impedisca il regolare passaggio dei poteri al nuovo presidente eletto, ribaltando così la regola istituzionale del consenso tra avversari politici che ha sempre dominato la democrazia americana.

Tra i segnali di tale eventualità v’è la dichiarazione del presidente repubblicano di non riconoscere la vittoria del democratico qualora fosse ottenuta con frode: dichiarazione accompagnata dal corollario che il voto postale (ampiamente usato nell’attuale circostanza) appare già oggi come fraudolento. Oltre le parole destano preoccupazione l’incitamento alle milizie armate dell’ultradestra di "stare pronte" come nel caso dei Proud Boys che hanno già dato prova di passare all’azione. Alcuni componenti del gruppo sono stati già incriminati per il tentativo di rapire la governatrice democratica del Michigan, Gretchen Whitmer, rea a loro avviso, di imporre regole strette per il covid. Washington è intenzionata a impiegare agenti e reparti militari federali in operazioni di ordine pubblico da inviare nelle città democratiche per reprimere disordini nel caso di proteste contro le violenze della polizia.

La prova generale è stata già compiuta con l’invio dei federali nella città di Portland con il benestare del procuratore generale William Barr. L’obiettivo finale della Casa bianca potrebbe essere il blocco degli scrutini per posta negli Stati in cui il voto per i democratici potesse risultare decisivo per il raggiungimento dei 370 voti dei grandi elettori nel collegio che nomina il nuovo presidente. L’interruzione dello scrutinio può essere provocata da una serie di azioni aggressive di gruppi para-militari che creano disordini e offrono il pretesto di un intervento federale che può arrivare fino alla proclamazione della legge marziale. Il presidente potrebbe invocare l’Insurrection Actdel 1807 per giustificare il dispiegamento nei disordini civili dei federali che, altrimenti, non potrebbero operare all’interno della nazione.

Trump sta conducendo la campagna all’insegna della "legge e ordine", ritenendo se stesso l’unico presidente in grado di proteggere le "donne suburbane" dai Black Lives Matter sostenuti dal "socialista Biden che vuole distruggere l’American Dream". Certo, c’è da chiedersi se l’ipotesi di un colpo di mano del presidente sulle elezioni sia una fantasia di avversari tremebondi e paranoici. Ma il timore che uno scenario così insolito si avveri è così diffuso che pubblicazioni degne di attenzione come "Atlantic" hanno paragonato con la firma di Anne Applebaum "Trump sul balcone come il Duce".

È troppo insistente la spinta per l’immediata conferma del nono giudice della Corte suprema di una giurista di fede ultra-trumpiana, Amy Coney Barrett, per escludere che alcuni strateghi disinvolti della Casa bianca possano davvero considerare la non conclusione del processo elettorale con il conseguente rinvio della decisione alla Corte suprema. Sempre, dal 1896, il candidato perdente alle presidenziali ha concesso la vittoria al vincente la sera stessa delle elezioni, così che da gesto di cortesia il riconoscimento dell’avversario è divenuto una formula istituzionalizzata. Se quest’anno l’onesta pratica non fosse onorata, l’America si troverebbe ad affrontare una svolta pericolosa anche per tutte le democrazie liberali dell’occidente.

di MASSIMO TEODORI