La povertà avanza a vele spiegate. Non l’arresta nessun decreto del presidente del Consiglio e neppure una delle ordinanze dei presidenti delle Regioni. Lo certificano i numeri. Nel periodo maggio-settembre 2020, confrontato con gli stessi mesi del 2019, l’incidenza dei "nuovi poveri" per effetto dell’emergenza Covid passa dal 31% al 45%. Secondo il Rapporto Povertà della Caritas "quasi una persona su due che si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta".

Donne, giovani e famiglie con minori e persone in età lavorativa, sempre più in difficoltà. Da aprile a giugno di quest’anno, la Caritas ha assistito 450mila persone. Tra le quali hanno fatto capolino anche piccoli commercianti e lavoratori autonomi. Tante, anzi tantissime persone. Ma forse il dato più allarmante è che per una su tre era la prima volta che si rivolgeva all’ente di beneficienza. Ma non sono solo i numeri che parlano della crescente povertà. È sufficiente guardarsi intorno, mentre si cammina per le strade della propria città. Mentre si fa la spesa in qualche mercato all’aperto. Oppure alzare gli occhi da terra mentre si è in fila a un qualsiasi ufficio postale.

Allora le persone in difficoltà si materializzano. Escono dai Rapporti per prendere le sembianze di Mario e Rachele, Filippo e Alessandra. Di quegli "insospettabili" che i grandi agglomerati urbani nascondono. E che il governo sostanzialmente tralascia di considerare. Nonostante il problema esista, prepotente. Il Reddito di cittadinanza è un palliativo, del quale peraltro non di rado ha usufruito chi non ne avrebbe avuto la necessità. Ormai ci sono intere categorie che sono al collasso. Categorie che prima della pandemia riuscivano a condurre vite dignitose. Ma che ormai sono in una condizione di progressiva sofferenza. A prescindere dal dato anagrafico.

Insomma la questione non riguarda solo i frequentemente citati giovani, ma anche i quarantenni e i cinquantenni, oltre che i sessantenni. Senza distinzione di genere. Sostenere che la questione Covid-19 abbia contribuito al collasso del welfare è lecito. Addossare ogni colpa sulla pandemia, un maldestro tentativo di giustificare politiche nazionali deficitarie. Da tempo incapaci di sostenere chi è in difficoltà. Perchè il lavoro lo ha perso oppure non lo ha mai avuto. Schiere di persone che ormai non abitano solo nelle estreme periferie delle città, ma anche in aree più centrali. Persone che magari ancora hanno una casa, ma poco o niente altro per provare a sopravvivere.

Così una volta che si è dato fondo a quel che si aveva, magari passando da un "Compro oro", non rimane che rivolgersi alla Chiesa. Alle parrocchie sul territorio. Lo Stato abiura dal suo ruolo, delegando alla Chiesa. Come accaduto, con i necessari distinguo, tra la fine degli anni Venti e gli anni Trenta del Seicento, quando una devastante pestilenza, portò alla morte di oltre un milione di persone. È la terribile epidemia del capitolo XXXI de I promessi sposi. La nuova ondata di Covid fa paura. Crea apprensione. Ma intanto la povertà si espande. Nonostante le rassicurazioni che provengono dal governo. È possibile che lo Stato possa sostanzialmente abbandonare tanti suoi cittadini nel momento della difficoltà? È possibile che uno Stato che si dichiari civile, dopo aver messo nelle condizione il proprio corpo sanitario di dover scegliere chi curare, ora decida chi possa sopravvivere economicamente alla drammatica crisi provocata anche dalla pandemia? Il problema è grave, evidentemente.

Perché minaccia di trasferire i suoi effetti sulla compattezza sociale, già messa a dura prova dalle troppe disuguaglianze esistenti. L’Italia rischia di trasformarsi in un Paese nel quale, nella realtà, le divisioni aumentano. Si accrescono. Non solo tra Nord e Sud, ma anche tra ricchi e poveri, senza un corpo intermedio. Pochi ricchi e tanti poveri. Con i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, come ha evidenziato un rapporto Eurostat, pubblicato lo scorso gennaio. Insomma prima della catastrofe da Covid. Secondo il Rapporto il 20% della popolazione con i redditi più alti può contare su entrate superiori a sei volte rispetto a quelle di coloro che fanno parte della fetta di popolazione più in difficoltà. Un divario che assicura(va) all’Italia l’andamento peggiore rispetto agli altri Paesi Ue. Forse il dato dal quale partire potrebbe essere proprio questo. Il vuoto che il Paese ha più o meno consapevolmente costruito tra i pochi ricchi e i tanti poveri.