Si deve proprio a lei il fatto che l’arte antica abbia anche uno sguardo femminile: parliamo di Artemisia Gentileschi, alla quale la National Gallery di Londra dedica, fino al 24 gennaio prossimo, una grande mostra curata da Letizia Treves. L’esposizione presenta un corpus di 35 opere della straordinaria pittrice romana, tra cui celebri dipinti come "Giuditta e la sua serva" del 1608 proveniente dal Museo Nazionale di Arte a Oslo, "Cleopatra" del 1611-12 della Etro Collection, "Danae" del 1612, conservata al Saint Louis Art Museum, "Autoritratto come suonatrice di liuto" del Wadsworth Museum di Hartford e "Santa Caterina di Alessandria" prestata dagli Uffizi di Firenze.

Ma ad attirare l’attenzione è soprattutto "Davide con la testa di Golia", datato 1639, appartenente a una collezione privata. Recentemente restaurato, il quadro è stato attribuito dopo un delicato intervento di ripulitura delle incrostazioni sulla pittura che ha fatto affiorare la firma della celebre artista. In mostra, per la prima volta, anche la trascrizione originale del processo del 1612 in cui l'artista Agostino Tassi fu accusato di violenza carnale contro Artemisia, proveniente dall'Archivio di Stato di Roma. Durante il processo, i giudici chiesero alla ragazza se fosse disposta a confermare la sua accusa anche sotto tortura e lei ribadì le proprie accuse. Alla National Gallery si trovano anche le lettere personali della pittrice recentemente scoperte nell'archivio storico Frescobaldi a Firenze. Inoltre, l’importante istituzione britannica lo scorso anno ha acquistato l'autoritratto di Artemisia per 3,6 milioni di sterline, stabilendo un nuovo record d'asta per le opere della pittrice.

Dal dicembre scorso "Il ritrovamento di Mosè" del 1630 del padre, Orazio Gentileschi, è entrato ufficialmente nelle collezioni del museo londinese, dove si trovava in prestito già da 25 anni, dopo il pagamento di 19,5 milioni di sterline al suo proprietario privato. Il monumentale dipinto è ospitato nella rinnovata sala destinata al barocco che è stata inaugurata proprio in occasione della grande retrospettiva sulla figlia voluta dal direttore della National Gallery, l’italiano Gabriele Finaldi. Primogenita del pittore Orazio Gentileschi e di Prudenzia Montone, Artemisia ebbe un’infanzia difficile: sua madre morì di parto quando lei aveva solo dodici anni e a diciassette subì la violenza sessuale.

Frequentando l’atelier del padre, esponente di primo piano del caravaggismo romano, assieme ai suoi sei fratelli, imparò le tecniche pittoriche dell’epoca. Dopo la violenza subita e l’onta del processo, da cui il Tassi uscì praticamente indenne, il padre riuscì a combinare un matrimonio con Pierantonio Stiattesi, pittore fiorentino, che determina il trasferimento a Firenze e una nuova stagione, definitivamente da "solista", per Artemisia. A Firenze nasce la prima figlia (ne avrà tre) e riesce a entrare all’Accademia delle arti del disegno, prima donna a ottenere questo prestigioso riconoscimento.

Ottiene importanti commissioni dalle famiglie fiorentine, tra cui i Medici, diventa amica di Galileo Galilei e di Michelangelo Buonarroti il giovane, il quale le commissiona una tela per celebrare il suo illustre antenato e intrattiene con lei una corrispondenza, che lei assolve avendo da poco imparato a scrivere. Di questo periodo fanno parte "Conversione della Maddalena" e "Giuditta con la sua ancella" esposte a Palazzo Pitti e una seconda versione della "Giuditta che decapita Oloferne" conservata agli Uffizi. Nel 1621 va a Genova per un breve periodo, poi torna a Roma come donna indipendente, allontanandosi definitivamente dal marito, e portando con sé la figlia Palmira. Dopo Roma si trasferisce a Venezia, dal 1627 al 1630. Successivamente approda a Napoli, città dove rimane definitivamente e dove morirà, se si esclude una breve parentesi inglese a Londra, dove raggiunge il padre per assisterlo fino alla sua scomparsa.

È la prima volta che la National mette in mostra l’artista barocca, fino a due anni fa assente nelle collezioni pubbliche del Regno Unito, nonostante abbia lavorato proprio a Londra nel 1639 accanto al padre Orazio alla corte di Carlo I d’Inghilterra. Nella collezione della National Gallery ci sono 2.300 opere, ma solo 23 sono di artiste, compreso l’autoritratto di Artemisia acquisito di recente. Questa mostra è un modo per ristabilire l’equilibrio, nota il Telegraph. Tutti i giornali e le televisioni hanno puntato soprattutto sulla vita tormentata dell’artista e sul fatto che i suoi personaggi femminili siano quasi assetati di vendetta. Lo testimonia la figura biblica di Susanna dipinta all’età di 17 anni da Artemisia nuda, indifesa e sopraffatta dallo sguardo lascivo dei due vecchioni e alla seconda versione della scena, dipinta nel 1652, poco tempo prima di morire a Napoli, in cui Susanna non è più nuda e invece di ritrarsi li affronta con decisione.

di MARCO FERRARI