"Papà, fammi una promessa...". A cinque anni dalla morte del figlio Beau, ucciso da un tumore al cervello, quella promessa Joe Biden può dire di averla mantenuta. Ha reagito al dolore, ha scalato la montagna, si è avventurato nella grande sfida per rimettere insieme l'anima d'America. Quel dolore immenso, già conosciuto con la perdita della moglie e della figlia in un incidente stradale nel '72, non solo non lo ha spezzato, ma è stato il motore per realizzare il sogno di entrambi: correre per la presidenza e vincere, in un momento in cui il lutto, a causa della pandemia, ha sconvolto la vita a più di due milioni di americani.

Quella di Biden è una vittoria storica, sotto tutti i punti di vista. Il "miraggio rosso" che si è verificato in diversi Stati chiave a causa del boom del voto anticipato; le parole mai così incendiarie di Donald Trump e le incognite sulle sue prossime mosse; le proteste che da giorni tolgono il sonno a milioni di americani: sono tutti segnali di un Paese lacerato come mai prima d'ora. Liquidare Trump come "lo zio matto" ora accecato dalla rabbia non può essere la soluzione: vorrebbe dire alienare ancora di più la possibilità di convivere con chi finora ha aderito a ciò che il trumpismo rappresenta. Chi si riconosce in Trump si sente - ed è percepito - come portatore di una visione del mondo inconciliabile rispetto a chi si colloca dall'altra parte. L'evoluzione di questo muro contro muro dipenderà anche da come si comporteranno il partito repubblicano e i più influenti media conservatori, ma è evidente che il grosso della responsabilità pesa sulle spalle già curve di Joe Biden, 77 anni, il presidente più anziano d'America chiamato a guidare una nazione sconquassata nelle sue fondamenta.

"Nessuno di noi è ingenuo", dichiarava già mercoledì pomeriggio il democratico, quando la fiducia si è via via trasformata nella consapevolezza di avercela (quasi) fatta. "Sappiamo che abbiamo punti di vista divisivi su diversi temi, ma dobbiamo andare avanti, dobbiamo smetterla di trattare i nostri rivali come nemici. Ciò che ci unisce è più forte di quello che ci divide". Accanto a lui la donna che ha scelto come sua vice, Kamala Harris, prima donna in un ticket presidenziale, rigorosa in questi giorni sia nell'aplomb sia nel ribadire che "ogni voto deve essere contato".

Alla fine il veterano della politica americana, simbolo di un establishment che in questi anni non ha saputo riflettere sui propri limiti ed errori, è riuscito a vincere anche meglio di quanto ci si potesse aspettare (se il sorpasso in Pennsylvania era in qualche modo atteso, quello in Georgia era insperato). La pandemia ha probabilmente aumentato le sue chance, consentendogli di giocare una campagna elettorale in difesa: più che a segnare, si è impegnato a non fare autogoal, gestendo il vantaggio e accettando la narrazione di una candidatura fiacca sin dall'esordio. Nelle primarie, così come alla prova del dibattito tv, non ha brillato per particolari performance: la sua mission è stata piuttosto quella di non fare danni, considerata la sua natura di gaffeur. Qualche piccola caduta di stile c'è stata, come guardare l'orologio durante il dibattito o dare del clown al presidente, ma l'aver giocato da lungometrista, sfruttando la distanza a proprio vantaggio, ha pagato.

Davanti a lui si apre ora una sfida immensa: guidare un Paese già sotto stress in una transizione dai contorni incerti. Ma chi lo ha votato – facendogli superare il record stabilito da Barack Obama nel 2008 – sa di poter contare tutto sommato su un'esperienza politica fatta di granito ma anche di empatia. Da un lato, infatti, ci sono i 36 anni trascorsi come senatore del Delaware, più gli 8 anni come vicepresidente al fianco di Obama. Dall'altro c'è la sua storia personale, i lutti, le pause, le ripartenze. Un percorso raccontato in un libro pubblicato nel 2017 di cui la storia di oggi sembra il naturale epilogo: "Papà, fammi una promessa: Un anno di speranza, sofferenza e determinazione" (tradotto in Italia da Francesco Costa per NR edizioni).

Accanto a tutti i limiti sopra elencati, infatti, Biden ha avuto successo anche perché ha mostrato qualità non pervenute in Donald Trump: gentilezza, empatia, capacità di reagire alle avversità, ragionevolezza, avversione al dramma - tanto per citarne qualcuna. Riguardo alla pandemia, ha adottato un approccio molto diverso rispetto a quello del presidente. Ha tenuto alto il livello d'attenzione, ha sempre indossato la mascherina, ha esortato il pubblico ad ascoltare gli scienziati evitando le grandi manifestazioni e gli eventi in presenza. La sua squadra ha smesso di bussare alle porte per la maggior parte della campagna elettorale, ricominciando solo alla fine. Ha mostrato empatia per le persone che avevano lottato con il coronavirus, un aspetto sottolineato qualche tempo fa in un commento di Judith Graham: la pandemia del lutto durerà più a lungo della pandemia di Covid-19, e nessuno è preparato a questo. E ancora: "guidare una nazione attraverso una pandemia significa trattare il lutto con il rispetto e la reverenza che merita".

Con un presidente negazionista – scelto comunque dal 48% degli elettori, oltre 6 milioni di persone in più rispetto a quattro anni fa - Biden non ha avuto esitazioni nel posizionarsi al fianco della scienza ma anche della vulnerabilità umana, includendo emozioni come il dolore e la paura (nelle sue varie declinazioni, inclusa quella economica). La sua storia familiare lo ha costretto a conoscere da vicino cosa significa perdere ciò che di più caro si ha al mondo. Nel libro Biden racconta con dettagli vividi e strazianti come gli è cambiata la vita da quando a suo figlio maggiore, Beau, astro nascente del partito democratico, è stato diagnosticato un cancro al cervello, fino alla sua morte, meno di due anni dopo. Pagina dopo pagina, Biden mette a nudo le proprie emozioni e la propria vulnerabilità in un percorso di dolore a lui drammaticamente già noto: era il 1972 quando la giovane moglie e la figlia morirono in un incidente stradale. Beau e Hunter, all'epoca 3 e 2 anni, erano sul sedile posteriore: sono sopravvissuti ma sono stati ricoverati in ospedale per giorni.

Quei calvari lo hanno reso più empatico, aiutando le persone a sentirsi in relazione con lui. Nel suo discorso alla Convention nazionale democratica, non c'era una folla chiassosa in un'enorme arena come di solito succede. Biden ha invece parlato direttamente nella telecamera, in modo più intimo, rivolgendosi agli americani che avevano perso qualcuno nella pandemia. Vale la pena di rileggerle oggi, quelle parole:

"In questa notte d'estate, lasciate che mi prenda un momento per parlare a quelli di voi che hanno perso di più. So come ci si sente a perdere qualcuno che ami. Conosco quel buco nero e profondo che si apre nel tuo petto. Senti che tutto il tuo essere ne è risucchiato. So quanto la vita a volte possa essere meschina, crudele e ingiusta. Ma ho imparato due cose. Primo, i tuoi cari potrebbero aver lasciato questa Terra, ma non hanno mai lasciato il tuo cuore. Saranno sempre con te. Secondo, ho scoperto che il modo migliore per superare il dolore e la perdita è trovare uno scopo. In quanto figli di Dio, ognuno di noi ha uno scopo nella propria vita. E abbiamo un grande scopo come nazione: aprire le porte dell'opportunità a tutti gli americani. Per salvare la nostra democrazia. Per essere ancora una volta una luce per il mondo".

Le montagne russe che dovrà affrontare darebbero le vertigini a chiunque: una pandemia in costante crescita e un'economia che ne soffre le ricadute; un movimento per la giustizia razziale che pretenderà riforme; gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, così evidenti negli incendi dell'Ovest. Sopra ogni altra cosa, Biden dovrà dimostrare di saper guidare un Paese fratturato e confrontarsi con la presenza ingombrante di Trump, che è ancora la forza dominante nel partito repubblicano senza un ovvio successore, a parte il figlio. Le sue politiche saranno senza dubbio contestate nei tribunali, dove alla fine si scontreranno con una Corte Suprema a forte maggioranza conservatrice. Il GOP è sulla strada per mantenere la maggioranza in Senato, ponendolo fin da subito in una posizione di maggiore debolezza rispetto ai suoi predecessori. Il compito che lo aspetta da qui in avanti è difficilissimo, ma intanto la prima parte è andata: ha dimostrato come si vince contro un bullo rimanendo fedeli a se stessi, pregi e difetti inclusi, con le spalle larghe di chi conosce il dolore e sa rispettare quello degli altri.