di Giovanni Valentini

 

E il merito va principalmente al Governo. Che ha proposto un “tavolo di confronto” sull’emergenza sanitaria covid ed economica rifiutato sdegnosamente dal centrodestra. E poi ha favorito l’approvazione di quattro su 22 punti della risoluzione. Presentata alla Camera dai capigruppo della minoranza Gelmini (Forza Italia), Molinari (Lega), Lollobrigida (Fratelli d’Italia) e Lupi (Noi con l’Italia). Per fronteggiare l’epidemia. E così alla fine, il centrodestra s’è astenuto su 10 degli 11 impegni contenuti nel testo della maggioranza.

A dispetto però dell’ispirazione patriottica espressa dalle varie denominazioni di questo schieramento, nelle file dell’opposizione permane un certo scetticismo, Nei confronti del Governo con il sospetto che il suo atteggiamento sia soltanto strumentale per cercare di attutire le tensioni del covid. Ovvero una “furbata”, nel tentativo di ammorbidire l’opposizione e guadagnare il suo “placet” sul nuovo lockdown.

La moral suasion di Mattarella - È stata verosimilmente la “moral suasion” del Capo dello Stato a sollecitare un mutamento del clima politico e istituzionale. Auguriamoci perciò che nei prossimi giorni la “dialettica parlamentare” possa propiziare un ulteriore miglioramento dei rapporti fra maggioranza e minoranza.

“Non c’è bisogno di fare un governo di unità nazionale per praticare l’unità nazionale”, avevamo scritto. Invocando come un esorcismo quello spirito di collaborazione e condivisione che è necessario in questo momento all’Italia sotto epidemia covid. Per cercare di uscire al più presto. E con il minor danno possibile. Dal tunnel della pandemia. Era da settimane che i leader del centrodestra reclamavano un “tavolo di confronto” per essere consultati e coinvolti nella strategia anti-Covid. Ma quando il premier l’ha annunciato si sono tirati indietro, dichiarandosi “indisponibili”. Probabilmente per il timore di essere considerati corresponsabili di scelte impopolari.

È senza dubbio il Parlamento, come pure avevamo già detto, il luogo deputato a un confronto alla luce del sole. Senza patteggiamenti o scambi sotto banco. Ma, nel pieno di un’emergenza come quella provocata dalla pandemia di coronavirus, l’obiettivo di un’opposizione responsabile e costruttiva non può essere quello di aprire una crisi al buio e far cadere il Governo. L’unità nazionale non è una questione di potere o sottopotere, di poltrone o poltroncine. Bensì di collaborazione e di solidarietà in funzione dell’interesse generale.

Il governo, quando piove, sempre ladro è. Fatto sta che qui ormai diluvia, grandina, nevica. Urla il vento e infuria la tempesta. E l’ombrello della pazienza e della sopportazione popolare rischia di spezzarsi da un momento all’altro. Se l’opposizione non partecipa, non è disponibile. E anzi soffia sul fuoco della rabbia sociale, non giova al Paese e neppure a se stessa. Alla lunga, la logica del “tanto peggio tanto meglio” in politica non paga.

La scarsa prova delle Regioni di destra - Non è poi che le Regioni governate dal centrodestra, dalla Lombardia al Piemonte, dal Veneto alla Liguria, abbiano dato prova finora di una grande capacità e organizzazione nel contrasto all’epidemia. Basta vedere i dati dei contagi, dei tamponi e dei decessi.

Sono proprio le Regioni, in forza dell’infausto decentramento previsto dal Tito V della Costituzione (art. 117) che gli italiani non hanno voluto riformare nel referendum del 2016, ad avere la competenza su “materie di legislazione concorrente”. Come la tutela della salute, la protezione civile, il governo del territorio.

E quando fa comodo, esercitano le loro prerogative. Quando non fa comodo, scaricano tutte le responsabilità sul governo centrale. Il quale sbaglia quando chiude tutto, sbaglia quando chiude a metà e sbaglia quando non chiude.

Il caso Toti - L’idea più originale – si fa per dire – partorita dal fronte di centrodestra è stata quella del governatore ligure, Giovanni Toti. Prima ha lanciato il sasso con un Tweet. Proponendo la segregazione generazionale per gli anziani e definendoli “non indispensabili al processo produttivo”. Poi ha nascosto la mano chiedendo scusa e incolpando il suo “social media manager”. Che però non risulta finora sia stato rimosso.

Il governo italiano – ripetiamolo per chiarezza – non è immune da colpe, errori, ritardi e incertezze. Nella prima fase dell’epidemia covid, nonostante le resistenze e le ostilità dell’opposizione, la sua azione è stata abbastanza efficace. Tanto da meritare un largo apprezzamento, anche all’estero, testimoniato dal livello di consenso nei sondaggi d’opinione.

Nella seconda fase, invece, il Governo ha perso tempo prezioso, ha tardato ad aumentare i reparti di terapia intensiva, non ha provveduto a potenziare adeguatamente i trasporti pubblici e le strutture scolastiche. Ma, al di fuori della Penisola, oggi chi sta meglio di noi in Europa? La Gran Bretagna, la Francia, la Germania, il Belgio, l’Austria, la Spagna, il Portogallo e la Grecia hanno già adottato un lockdown più o meno totale, leggero o soft. Per imporre un “giro di vite” e contenere o magari ridurre la diffusione dei contagi. Non pariamo poi dell’America di Donald Trump che, in attesa delle elezioni presidenziali, ha dovuto registrare oltre duecentomila morti.

Ora il nostro nuovo lockdown “mirato” è articolato in tre fasce diverse con misure più restrittive per le regioni più infette e gradualmente meno restrittive per quelle meno contagiate. Sembra corrispondere a un ragionevole punto di equilibrio fra esigenze nazionali e territoriali, tutela della salute e tenuta dell’economia, produzione e lavoro. Ma spetta a ciascuno di noi accettare, rispettare e applicare queste prescrizioni, nell’interesse individuale e collettivo. Altrimenti, bisognerà stringere i freni e allora sarà peggio per tutti.