La moda è, in ultima analisi, una forma di messaggistica con la quale comunichiamo al mondo circostante elementi della nostra identità e del tipo di rapporti che vogliamo avere con gli altri. Come il poliziotto indossa la divisa per comunicare chi è e il potere che rappresenta, molti "civili" vestono per segnalare una sorta di disponibilità a interagire - o almeno a essere "ammirati" - e anche le condizioni alle quali ciò possa avvenire. Per dire, il corteggiatore deve poter calcolare dal vestiario che livello di ristorante servirebbe per approfondire la conoscenza. Ci sono vestiti da McDonald's e altri da Toulà.

In certe fasi storiche, nell'Ottocento per esempio, l'esagerata crinolina delle signore della buona società non solo comunicava ma manteneva fisicamente una distanza sociale. Era inevitabile che con l'epoca Coronavirus - e la conseguente necessità di far rivivere il "social distancing" - alcune di queste idee sarebbero state riprese. Molti designer hanno tirato fuori progetti di vestiti voluminosi, con spigolature e respingenti di vario tipo per tenere lontani gli eventuali "untori" Covid.

L'abito che appare qui sopra, della designer sud-coreana Sun Woo Chang, è abbastanza rappresentativo del genere - anche se Ms. Chang preferisce spiegare che le sue proposte sarebbero da interpretare come "case portatili" che offrono a chi le porta un "rifugio dalla realtà". La stilista precisa che il concetto di base da cui derivano è quello delle tende da campeggio "istantanee" che si montano da sole. Se però i suoi abiti confortano chi li porta, il messaggio ricevuto dagli altri è "Stammi lontano!". Fanno anche nascere una domanda: Come diavolo fa la modella a sedersi?

James Hansen