Dunque, Joe Biden ha vinto. L’America, si fa per dire, torna alla normalità democratica e i commentatori - peraltro molti presunti conoscitori delle vicende statunitensi - già si sbizzarriscono sulla vittoria del “centro”. O meglio sul “ritorno del centro”.

Ora, nessuno sa con esattezza se questa rapida e quasi meccanica deduzione risponde alla realtà. Tutti sappiamo però che le vicende americane hanno, da sempre, una discreta ricaduta politica nell’Occidente democratico. Ricadute che possono indicare una tendenza, una direzione   di marcia anche se non è una operazione replicabile con altrettanta puntualità.

Ma, per restare alla recente e travagliata vicenda americana, è indubbio che la personalità, il profilo, la statura e lo stesso progetto politico già tratteggiato dal capo americano all’indomani della sua vittoria, sintetizzano che ha vinto la battaglia contro il tycoon statunitense con una “posizione di centro”. Ovvero, attraverso un progetto che, rifuggendo da una radicalizzazione dello scontro politico, punta a “ricucire” il contesto americano con una politica che “unisce” e che “non divide”. E quindi che non aizza gli uni contro gli altri, che supera l’isolamento americano che si è consolidato in questi ultimi anni e che, soprattutto, mira a ricostruire un rapporto fecondo e politico con il vecchio continente, l’Europa democratica, economica e produttiva.

Insomma, almeno stando alle prime avvisaglie anche se il nuovo leader americano dovrà mettere in campo tutta la “sapienza” largamente acquisita in ormai decenni di presenza ai massimi livelli dell’amministrazione americana, sarà comunque necessario declinare un’azione di grande convergenza e di raro equilibrismo per evitare che si riproponga all’orizzonte quella radicalizzazione sociale e politica che è stata la ragione del successo e dell’affermazione di Trump e dell’ideologia nazionalista e sovranista in questi anni.

Ma il “nuovo corso” della politica americana può innescare, almeno nel sistema politico italiano, nuove dinamiche e nuovi protagonismi politici? Indubbiamente viene meno un grande, poderoso e qualificato ombrello politico per tutti coloro che, sul fronte sovranista, avevano nella guida di Trump un punto di riferimento internazionale di indubbia importanza.

Ma sul fronte riformista e democratico quali possono essere le novità dirompenti e più significative, almeno sul versante italiano? Al di là delle più svariate interpretazioni e letture che nei prossimi mesi decolleranno. Almeno su un punto, credo, dopo il risultato americano ci può essere una discreta convergenza. E cioè, dopo questo voto non nasce, come ovvio, un “partito di centro”.

Al netto degli innumerevoli esperimenti virtuali che, come noto, non sono un fatto politico. Semmai, e qui anche e soprattutto il Pd di Zingaretti è chiamato a una profonda riflessione politica, culturale, programmatica e forse anche valoriale come del resto altre forze politiche, la vera sfida non è quella di ricreare un partito di centro ma, semmai, saper declinare una “politica di centro” nella concreta dinamica politica italiana.

Se anche nella dialettica politica americana che proprio nell’ultima campagna elettorale ha vissuto una pesante e micidiale radicalizzazione del confronto, si è vinto anche con una “politica di centro” espressa dal candidato democratico Biden, è giocoforza che anche nel nostro paese questo approccio sarà sempre più gettonato e pertanto vincente. La vera sfida politica nel nostro sistema, quindi, si giocherà sempre di più su questo versante. Ovvero, vincerà quel partito - o meglio quello schieramento - che saprà declinare, nel metodo e nel merito, una “politica di centro”.

Nel confronto con gli altri - il metodo -, e nel progetto - il merito - da sottoporre agli elettori. Solo su questo versante sarà possibile verificare concretamente cosa abbiamo imparato dalla “lezione” americana.

di Giorgio Merlo