La consapevolezza che i 196 miliardi del Recovery Fund (salgono a 209 miliardi aggiungendo le risorse degli altri programmi Ue) sono un'occasione irripetibile per il Paese è messa nero su bianco a pagina 5. Prefazione della bozza del piano italiano, di cui Huffpost è in possesso. Scrive Giuseppe Conte: "Oltre a recuperare il terreno perduto con la crisi pandemica, si tratta di voltare pagina rispetto al passato. Non possiamo permetterci di ritornare allo status quo precedente a questa crisi". Ma spendere 196 miliardi richiede capacità, responsabilità, che la catena politico-istituzionale, affiancata dai tecnici, sia capace di funzionare, di trasformare le intenzioni riportate sulla carta in soldi spesi e spesi in progetti che servono al Paese. Realizzabili davvero, presto e bene. I 196 miliardi sono anche un carico di responsabilità senza precedenti per chi deve gestirli.

La grande scommessa del Recovery Fund, che tiene nella pancia anche l'occasione per il governo Conte di rafforzarsi o quantomeno di avere una ragione o un alibi per restare unito, è tutta centrata su un interrogativo che è riportato sempre nella prefazione. "Che Paese vorremmo tra dieci anni?", scrive ancora il premier, spiegando che è stato questo il punto da cui palazzo Chigi e i ministeri sono partiti per capire come spendere i soldi del Recovery. È dalla capacità del piano italiano, articolato in 125 pagine, di rispondere a questa domanda che passa il successo o il fallimento della scommessa. Alcuni capitoli convincono, altri - come la complessa macchina dei comitati che dovrà decidere - no.

Una valanga di soldi. Ma c'è anche l'impatto dei prestiti sui conti pubblici - Sul piatto ci sono 196 miliardi. Sono soldi che l'Italia inizierà a ricevere dal prossimo anno e che spenderà fino al 2026. Nel piano si parla di 193 miliardi (65,4 miliardi di sovvenzioni e 127,6 miliardi di prestiti). Ma in una nota alla tabella che elenca tutte le spese che saranno sostenute con i soldi europei (anche di altri programmi e che portano il totale a 208,6 miliardi) viene specificato che le revisioni delle previsioni macroeconomiche della Commissione e altri fattori stimano in 196 miliardi le risorse disponibili per l'Italia grazie al Recovery.

La stragrande maggioranza di questi soldi sono prestiti, sono cioè soldi che andranno restituiti. E, da subito, pongono un problema: aumentano il deficit. È vero che le regole europee sulla disciplina di bilancio sono state sospese con la pandemia - e questo ha permesso di tirare la corda del deficit per oltre 100 miliardi quest'anno con i cosiddetti decreti anti Covid - ma è altrettanto vero che il problema è solo rimandato, non risolto. Per dirla con poche parole: a un certo punto le regole torneranno e tornerà quindi anche il problema del deficit. Nel piano il Governo scrive che "la componente prestiti non si tradurrà interamente in un aumento del deficit". E questo è vero perché, come c'è scritto sempre nel Recovery plan, alcune delle spese finanziate con questi prestiti potrebbero sostituirne altre o impegni di spesa esistenti. In pratica il nuovo deficit andrebbe a sostituire quello che sta già finanziando alcune misure e quindi il saldo sarebbe nullo. E poi si parla di compensazioni che possono derivare da un aumento delle entrate. Ma tutto questo ragionamento è inquadrato nella prospettiva della probabilità, delle variabili, non della certezza. Innanzitutto 127,6 miliardi di prestiti potrebbero superare, in termini di deficit, quelli delle misure coperte oggi dallo stesso deficit. E quindi provocare un aumento del deficit. Altra condizione non prevedibile a priori è l'aumento delle entrate.

Torniamo ai soldi, nello specifico alle sovvenzioni, ai soldi cioè che non andranno restituiti. Il 70% delle sovvenzioni sarà impegnato entro la fine del 2022 e speso entro il 31 dicembre del 2023. Il restante 30% sarà speso tra il 2023 e il 2025. Più in generale e scorporati anno per anno, i dati della tabella dicono che sarà il 2023 l'anno in cui l'Italia spenderà maggiormente del Recovery, precisamente 26,2 miliardi di sovvenzioni e 15 di prestiti (l'importo potrebbe variare di qualche miliardo alla luce della differenza i 193 e i 196 miliardi di cui si è detto). La criticità, qui, è che il 2021 sarà tutto tranne che un anno decisivo, di svolta, perché - sempre quanto riporta la tabella - verranno impiegati appena 18 miliardi, tra sovvenzioni e prestiti.

La sindrome dei comitati - La scommessa del successo del Recovery plan poggia in gran parte anche sull'assetto della macchina che deve mettere a terra i progetti e distribuire i soldi. Ma che deve anche assicurare che questi soldi siano spesi per lo scopo prefissato e nei tempi previsti. Così come scritto - con le sue articolazioni, i suoi incastri, i comitati innumerevoli - il cervello decisionale rischia di andare in tilt. Perché affidato a un meccanismo che tira in ballo decine di teste. E di natura diversa, dal Governo al tecnico. Metterle insieme affatica invece che semplificare.

Tutto quello che dovrebbe essere l'ideale viene anche scritto: "L'efficace attuazione del Piano non può prescindere dall'esistenza di un meccanismo efficiente di organizzazione e gestione del piano. La costruzione di una adeguata governance è un presupposto per la realizzazione dell'intero piano e anzi deve essere considerata parte integrante del piano stesso". Ancora:"Soltanto un uso razionale e tempestivo delle risorse può garantire che le riforme e gli investimenti procedano nel pieno rispetto delle regole europee e del cronoprogramma". Ma basta passare alle pagine che seguono per perdersi in un groviglio di cariche e competenze.

Ogni settore interessato dal piano avrà un suo responsabile di missione. Dovrà assicurare l'attuazione del piano in modo rapido, ma anche verificare che venga rispettato il cronoprogramma e, attraverso "l'attivazione di poteri sostitutivi" fare in modo che vengano superate situazioni di inerzia o che bloccano l'intervento programmato. Poi c'è il Comitato esecutivo, che sarà composto da Conte, dal ministro dell'Economia Roberto Gualtieri e dal titolare dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli. Dovranno vigilare sull'attuazione di tutto il piano italiano con  compiti di indirizzo, coordinamento e controllo. Al ministro degli Affari europei Enzo Amendola, di intesa con il titolare degli Esteri Luigi Di Maio, il ruolo di referente unico con la Commissione europea per tutte le attività legate all'attuazione del piano. Nella catena di comando ci sono anche i ministri, che oltre a essere presenti all'interno del Ciae - il Comitato interministeriale per gli Affari europei che farà da raccordo tra i vari soggetti - esercitano le proprie competenze e in "ogni momento" posso confrontarsi con il triumvirato Conte-Gualtieri-Patuanelli e con i responsabili di missione.

Se il responsabile di missione, cioè il controllore, si dimostrerà inerte allora la politica potrà revocarlo. La politica, definita come "Autorità politica", si tiene l'attività di verifica sull'attuazione del piano. Questa è l'architettura generale, già di per sé complessa. Sotto ogni responsabile di missione c'è una struttura di missione. La sceglie il Comitato esecutivo. Dentro ci saranno manager e dirigenti che arriveranno dalla Pa, ma anche da società pubbliche o partecipate, e poi ancora collaboratori, consulenti e esperti. Poi c'è la Conferenza dei responsabili di missione, che dovranno definire e coordinare le attività e le azioni della struttura. Ancora la gestione amministrativa e operativa della struttura è affidata a un direttore amministrativo. Previsto anche un Comitato di responsabilità sociale, composto da rappresentanti delle categorie produttive, del sistema dell'università e della ricerca scientifica seguirà l'attuazione del Piano e fornirà pareri e suggerimenti. E poi un'unità di missione al ministero dell'Economia per coordinare, raccordare e sostenere le strutture della Ragioneria generale dello Stato coinvolte nel processo di attuazione del piano.

Lo schema del piano italiano - Veniamo ai contenuti. Dove finiranno i 196 miliardi? Il piano è costruito intorno a quelle che vengono definite "quattro linee strategiche". Sono indicate così: modernizzazione del Paese, transizione ecologica, inclusione sociale e territoriale, parità di genere. Tutto questo viene calato ulteriormente in sei missioni: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura, rivoluzione verde e transizione ecologica, infrastrutture per una mobilità sostenibile, istruzione e ricerca, parità di genere, coesione sociale e territoriale, salute. E a sua volta le missioni sono suddivise in componenti.

La fetta più grossa dei 196 miliardi andrà al green: 74,3 miliardi. Seguono la digitalizzazione e la cultura, a cui saranno destinati 48,7 miliardi, poi le infrastrutture con una dote di 27,7 miliardi. Seguono istruzione e ricerca (19,2 miliardi) la parità di genere con 17,1 miliardi e la salute, a cui andranno 9 miliardi.

Dove andranno a finire i 196 miliardi - Nella bozza non sono indicati i singoli progetti, ma rispetto alle Linee guida di settembre c'è una descrizione più approfondita degli ambiti in cui si interverrà e a cui saranno destinati i 196 miliardi. Molti interventi sono ancora nella fase embrionale, un titolo o poco più. Per esempio la volontà di costituire un cloud nazionale per fare avanzare la digitalizzazione nel Paese. Così come la cashless community, una forma più estesa e compiuta del cashback che parte l′8 dicembre con il super bonus di Natale per chi paga con la carta o il bancomat. Anche il progetto della fibra non è dettagliato e non spiega come i soldi del Recovery possano calarsi all'interno di una diatriba che tira in ballo interessi legati ai diversi player in campo.

Uno spazio significativo è riservato alle tasse. Il Governo spiega che punta a ridurre l'Irpef per i redditi compresi tra i 40mila e i 60mila euro. Ma il progetto della riforma fiscale va ancora costruito, soprattutto sul fronte delle coperture e della quadra politica interna alla maggioranza.

Meglio specificate e più incisive appaiono gli interventi in materia di cultura. In Italia solo il 16% dei musei ha personale dedicato alle attività digitali, solo il 43,7% dei musei ha un sito Internet, appena il 66% usano almeno un social media. Un'arretratezza che taglia valore e fruibilità. Il progetto delle imprese culturali intercetta quantomeno un fabbisogno strutturale che si punta a riempire con misure e progetti in linea con questo obiettivo.

Nel campo del green, a cui andranno le risorse maggiori dell'intero pacchetto, un accento è posto sulla realizzazione di un piano di efficientamento degli immobili pubblici e sul potenziamento delle misure a sostegno dell'efficientamento dell'edilizia privata. Insieme all'estensione del superbonus al 110%, questi due interventi si inquadrano in un più generale intervento di sistema, capace di andare oltre la specificità del tema ambiente. Sono cioè progetti in grado di generare lavoro e di dare una spinta a settori messi in ginocchio dalla pandemia, come l'immobiliare.

Sulle infrastrutture il piano presenta un'ottica ben definita. Al Nord si potenzieranno le tratte ferroviarie Milano-Venezia, Verona-Brennero, Liguria-Alpi e Torino-Lione, migliorando i collegamenti con i porti di Genova e Trieste. Al Centro si rafforzeranno due assi Est-Ovest (Roma-Pescara e Orte-Falconara). Per il Sud prevista l'estensione dell'Alta Velocità lungo le direttrici Napoli-Bari e Salerno-Reggio Calabria, velocizzando anche il collegamento diagonale da Salerno a Taranto e la linea Palermo-Catania-Messina. L'intervento, a differenza degli interventi infrastrutturali degli anni passati, punta a contemplare l'intero territorio nazionale.

La scuola, secondo il piano, è chiamata a innovazioni importanti. Bisognerà capire se e come chi fa la scuola - dai dirigenti ai professori - è pronta e vuole affrontare progetti come la formazione continua con un sistema di crediti e l'obbligo della frequenza, ma anche una riforma del sistema di selezione del personale che modifica i concorsi e li integra con periodo di formazione e di prova ai fini dell'assunzione. Tra gli interventi previsti in materia di sanità, la telemedicina e il rafforzamento dell'assistenza di prossimità.

L'effetto del Recovery sul Pil - Il risultato più ambito da parte del Governo è quello di arrivare al 2026 con un Pil più alto di 2,3 punti percentuali rispetto allo scenario base.

Il come è spiegato con due argomentazioni. Nel breve termine prevarrà l'effetto di domanda innescato ad esempio dalle maggiori spese per la costruzione e la messa in opera degli investimenti pubblici. Nel medio periodo, invece, i maggiori investimenti accresceranno lo stock di capitale pubblico e questo avrà effetti positivi sul Pil. Tutto ciò premettendo che la maggior parte dei soldi sarà destinata a investimenti pubblici. Ma lo stesso Governo è costretto a inserire altri due scenari, oltre a quello che vede il Pil risalire di 2,3 punti percentuali nel 2026. E questo perché, come scrive lo stesso esecutivo, "l'impatto degli investimenti pubblici dipende da numerosi variabili". In particolare dall'efficienza degli interventi. Qui la scommessa più generale del Recovery arriva al suo punto cruciale. Si parla di scenario medio e basso, legando questi due orizzonti ad errori che potrebbero subentrare in corso d'opera. Nel 2026, il contributo del Recovery al Pil sarebbe decisamente più basso, rispettivamente di 1,7 e di 1,1 punti percentuali. Una delle cose che bisognerà fare, come si mette in evidenza nello stesso piano, è accrescere l'efficienza delle amministrazioni pubbliche che devono attuare i progetti. Una scommessa dentro alla scommessa.

Giuseppe Colombo