Il "dissenso" cova sotto la cenere grillina. E sul "Recovery fund", i renziani non mollano la presa minacciando di uscire dall'esecutivo. Il "via libera" incassato, oggi, nell'Aula di Montecitorio ed in quella di Palazzo Madama, dalla risoluzione della maggioranza sul Mes, mette sostanzialmente al riparo il governo Conte da clamorosi quanto improvvisi "scivoloni". Ma, al contempo, evidenzia come, da un lato, all'interno del Movimento 5Stelle, l'ala "ribelle" sia più decisa che mai a mettersi di traverso, anche se questo significa andare contro la linea "governista" imposta dall'asse Di Maio-Crimi. E dall'altro, che Italia Viva, senza lo stop alla "task force" sulla governance del "fondo di recupero", potrebbe anche "lasciare le poltrone al governo", come ci ha tenuto a ribadire Renzi nel suo intervento in Senato.

IL VOTO IN PARLAMENTO
La cronaca del giorno racconta di una risoluzione approvata con 297 sì alla Camera, e con 156 sì (129 no e 4 astenuti) al Senato. Si tratta, a ben vedere, almeno per quanto concerne l'emiciclo di Montecitorio, del numero più basso di "consensi" ottenuto dal governo giallorosso, che mai, in quell'Aula, era sceso a quei livelli.

IL MES TORNA IN CONSIGLIO UE
In ogni caso, nel documento approvato si dà, in pratica, mandato all'esecutivo (che aveva già fornito parere favorevole in tal senso) per il "via libera" alla revisione del Mes. Questo non significa automaticamente che il fondo sarà attivato, ma solo che si procederà ad una riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Azione di cui l'Italia si farà promotrice in sede di Consiglio europeo.

I 5S "RIBELLI" E I MAL DI PANCIA IN FI
Tuttavia, se alla Camera la risoluzione ha incassato 297 voti a favore, di converso, ha fatto rumore il no di 13 deputati del M5S, appunto, lo schieramento dei "dissidenti", che hanno votato all'unisono con l'opposizione (i no sono stati complessivamente 239) di centrodestra. Uno schieramento, quest'ultimo, dove pure non sono mancati i "mal di pancia", in particolare in Forza Italia dove, ad esempio, Renato Brunetta e l'ex governatrice della regione Lazio, Renata Polverini, sono usciti dall'aula al momento del voto, in aperto dissenso rispetto alle indicazioni del gruppo azzurro (contrario alla risoluzione della maggioranza).

IL VOTO DEL SENATO
E si presta a "discussioni" anche il voto di Palazzo Madama dove la maggioranza dei favorevoli alla risoluzione sul Mes si è attestata a quota 156 sì, ben al di sotto, dunque, della soglia dei 161 voti ipotizzata alla vigilia. Cifre che si annunciano come nettamente al ribasso per Conte e il suo governo, spalancando più di un punto di domanda su quella "coesione" su cui pure, da tempo, insiste il presidente del Consiglio. Anche perché nel frattempo Italia Viva non sembra intenzionata a voler fare dietrofront sulla richiesta di revoca della "task force" voluta da Conte per la "governance" sui fondi del "Next generation EU". La cabina di regia sul recovery proprio non va giù ai renziani. Il perché lo ha spiegato Matteo Renzi, intervenendo in sede di dichiarazione di voto in Senato.

L'AUT AUT DI RENZI AL GOVERNO
"Siamo pronti a discutere ma non a usare la Manovra come veicolo di quello che abbiamo letto sui giornali, compresi i servizi. Se c'è una norma che mette la governance del Recovery Fund con i servizi votiamo no" ha affermato il leader di Iv. "Se i suoi collaboratori telefonano ai giornali per dire che vogliamo una poltrona in più, sappia che se ha bisogno di qualche poltrona ce ne sono tre nostre a sua disposizione", ha poi attaccato. "Il governo non può essere sostituito da una task force. Il Parlamento non può essere sostituito da una diretta Facebook", ha quindi rilanciato sempre più polemico. Infine, sulla bozza del Piano Italia, l'ex premier è stato lapidario: "Come si fa a dare 9 miliardi alla Sanita? Io al governo misi 7 miliardi e si parlò di tagli, per me ce ne vogliono il doppio, il triplo" ha affermato.

L'APPELLO DELLA BINETTI
Il duro intervento di Renzi ha raccolto consensi trasversali. Dai banchi della Lega si è levata una standing ovation. Diversi applausi sono giunti anche dai banchi Pd. A dir poco laconico anche l'ultimatum che il ministro per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, ha lanciato ai piani alti di Palazzo Chigi: "Via quella norma o io e la Bellanova siamo pronte alle dimissioni".