di SANDRA ECHENIQUE

Tutti in piedi quando si parla di moda italiana. A cominciare dagli Stati Uniti. Una favola che da anni continua e non si è fermata nemmeno in tempi di pandemia. Come? Con un documentario dal budget milionario diretto da John Maggio, produttore, regista, sceneggiatore che nella sua carriera ha ricevuto riconoscimento importanti dagli Emmy Awards ai Writers Guild Award le cui radici sono state messe in rilievo, in particolare, nel 2015 con un altro documentario 'The Italian Americans'. Trasmesso negli USA sulla rete PBS 'The Italian Americans' racconta, dal profondo, l'esperienza di un gruppo di emigranti le cui qualità (che rappresentavano quelle più in generale degli italiani negli States) nel tempo hanno plasmato e anche sfidato l'America. Adesso John Maggio (che recentemente ha​ diretto 'The Perfetct​ Weapon' basato sul bestseller di David E. Sanger sull'ascesa del conflitto cibernetico) riprende il contatto con la sua terra d'origine, attraverso uno degli elementi di maggior spicco del made in Italy: la moda. E lo fa sfidando anche il COVID-19: infatti nonostante le purtroppo note restrizioni, il progetto è in produzione dallo scorso ottobre con il documentario girato a Milano principalmente, ma anche a New York e Los Angeles. Dovrebbe essere pronto per l'autunno dell'anno prossimo e ha già una destinazione praticamente sicura: sarà venduto a Netflix. Il documentario di John Maggio che per il titolo ha scelto il nome della città simbolo e capitale italiana della moda e della nostra industria più in generale, vuole raccontare l'ascesa​ per certi versi fulminea dell'Italia e del suo made in Italy più celebrato, sulla ribalta della moda di gran lusso e, al tempo stesso, vuole svelare anche i retroscena più intriganti che si celano dietro alle grandi dinastie del fashion nostrano. Il documentario è stato scritto e sviluppato da Alan Friedman, giornalista americano ormai stabilitosi da anni in Italia, conosciuto dal grande pubblico per le sue apparizioni continue nei talk-show italiani. E se di solito parla di politica, in Italia è stato coinvolto dal mondo del fashion​ attraverso iniziative portate avanti dalla Camera della Moda, compresa la prima settimana settimana digitale del Fashion Week, programmata lo scorso luglio: da lì i contatti con i nomi eccellenti da Armani a Ferré a Versace. Con le generazioni anche degli stilisti che si sono date il cambio, il documentario nel raccontare 'Milano' sotto l'angolo della moda, prendendo il via dai grandi primi protagonisti arriva fino a giorni nostri e dovrebbe, come ha sottolineato lo stesso Friedman avere "la collaborazione di molti degli stilisti più iconici" anche se non ne ha svelato i nomi. "Sono entusiasta - ha invece spiegato John Maggio - di poter affrontare la storia, dalle origini, della nascita di Milano come capitale della moda e la storia degli stilisti​ e visionari creativi italiani che hanno permesso che ciò accadesse". Armani, Versace, Ferré, Dolce Gabbana, Valentino, Gucci, Prada, Ferragamo, Trussardi, Missoni: l'elenco della moda italiana, Milano e dintorni, è lungo e prestigioso,​ può continuare con Max Mara, Fendi, Bottega Veneta, Diesel e non ci si ferma qui perchè il fashion del made in Italy è prestigioso e rappresenta ancora oggi per tanti aspetti uno status symbol in tutto il mondo. Vestire italiano, calzare scarpe italiane come indossarne le cravatte o avere al braccio le borse, rappresenta, nonostante gli anni che passano e la concorrenza e le mode che cambiano, una maniera unica di essere, sinonimo di gran lusso ed esclusività. "Ci sono stati tanti film che hanno toccato le singole case di moda - ha spiegato Friedman - mai uno che osservasse la straordinaria​ ascesa della moda italiana tra gli anni '70 e '80 e su come abbia influenzato lo stile di vita non solo americano, ma mondiale". Friedman, che ha già prodotto il documentario 'The Rise and Fall of Silvio Berlusconi', trasmesso su Netflix, ha voluto John Maggio alla regia per i suoi successi naturalmente "ci stuzzicava​ l'idea di avere un americano pluripremiato" ha detto, ma anche perchè​ non si trattava di un uomo dentro alla moda: "In questo modo - ha concluso - si può osservare meglio questo mondo in maniera oggettiva".​ ​