di Michele​ Schiavone

 

In tutto il mondo il 18 dicembre si celebra la Giornata Internazionale dei Migranti. Questa data riporta all’approvazione della Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie in vigore dal 2003, scaturita dalla decisione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvata nel 1990. Sono ancora molti i paesi, tra i quali anche l’Italia, a non averla ancora sottoscritta benché il nostro Paese per ragioni storiche e dimensioni numeriche sia direttamente interessato dal fenomeno migratorio in entrata e in uscita. Da sempre le migrazioni hanno due risvolti nelle società: l’arrivo e la partenza, l’ospitalità e l’integrazione che definiscono il grado di civilizzazione delle stesse. L’Italia per ragioni storiche conta svariati milioni di cittadini e di italodiscendenti distribuiti nel mondo e una bassa percentuale di immigrati residenti, che contribuiscono al suo progresso. Il fenomeno migratorio nostrano, però, pende numericamente più sull’emigrazione dei nostri connazionali, che sulla presenza degli stranieri o dei nuovi cittadini.

 

Per gestire al meglio i flussi migratori classici e per dare risposte concrete alle emergenze migratorie causate da guerre, carestie, miseria gli stati più avveduti fanno ricorso a accordi bilaterali o multilaterali. Tuttavia, per semplificare e gestire gli spostamenti degli emigranti nel 2016 l’ONU ha proposto ai Paesi che la compongono di aderire e sottoscrivere lo strumento del Global Compact for Migration, che vuole essere un impegno responsabilizzante nella gestione delle migrazioni in e tra i continenti.​

 

Nel dicembre 2018, il​ Global Compact​ for Migration è stato sottoscritto da 164 paesi in una grande conferenza internazionale a New York, ma non dall’Italia, unica nazione europea ad opporsi alla ratifica nonostante avesse partecipato alla stesura dell’accordo.

 

In quei giorni del 2018 il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero era riunito in Assemblea plenaria a Roma ed ebbe modo di discuterne con l’allora ministro degli Affari esteri e della Cooperazione italiana Angelino Alfano, richiamando le ragioni storiche delle migrazioni italiane nel mondo e sottolineando la valenza e il senso dell’adesione del nostro Paese al Global Compact for Migration, che a differenza della Convenzione ONU del ‘90​ non ha veste giuridica vincolante. È un patto politico per una migrazione sicura, ordinata e regolare che garantisce i diritti e le libertà anche dei nostri connazionali all’estero.

 

Siamo convinti che il complesso fenomeno migratorio va governato in ambito sovranazionale e non con decreti rispondenti agli umori elettorali nazionali alimentati dalla paura e dall’intolleranza. La governance del fenomeno migratorio deve tener conto degli accordi tra i paesi di origine e quelli di destinazione per​ definire i numeri e le modalità della mobilità libera e condizionata. In seguito alle emergenze degli ultimi anni verificatosi nel mediterraneo e nel vicino oriente la stessa Unione europea sta ripensando le proprie regole e i principi nazionali per superare il regolamento di Dublino e promuovere nuove politiche comunitarie di accoglienza e di integrazione all’altezza delle aspettative di sicurezza,​ quest’ultima causa di numerosi pregiudizi ma anche di fibrillazioni dei diritti.

 

Il Consiglio Generale degli italiani all’estero, in questa ricorrenza, auspica che l’Italia ripensi la propria posizione sulle finalità del Global Compact for Migration e impegni le aule parlamentari a ridiscuterne la portata per giungere alla sua sottoscrizione, perché è meglio gestire il fenomeno dal di dentro per definirlo invece di rimanere fuori e osservarlo da spettatori.

 

 

 

Michele Schiavone

 

Segretario​ Generale CGIE