di Roberto Ciccarelli

Per​ il segretario della Fnsi Raffaele Lorusso​ questo è «un provvedimento grave che conferma quello che avevamo capito da tempo. Esiste un disegno chiaro portato avanti da una parte importante di questo governo: ridurre il pluralismo dell’informazione, cominciando a fare sparire le voci delle minoranze, delle differenze, dei territori che non hanno altra voce. È cominciato con il primo governo Conte e sta continuando con quello attuale».

 

In questa crisi il governo sostiene l’economia, poi parla di «editoria 5.0», ma non elimina i tagli al non profit. Cosa fare per mettere ordine in questo caos?

Una riforma strutturale del settore è fondamentale. Il percorso intrapreso dal sottosegretario all’editoria Martella è incoraggiante. Detto questo però ci troviamo a commentare una legge di bilancio dove la montagna ha partorito il topolino. Il presidente del consiglio Conte, in occasione degli stati generali, ha riconosciuto pubblicamente il ruolo della stampa in questi mesi di pandemia. Ora serve una chiara volontà politica che riconosce nei fatti, e non solo a parole, il ruolo costituzionale che tutta l’informazione sta svolgendo e continuerà a svolgere in futuro nella formazione di un’opinione pubblica consapevole contro la diffusione delle fake news. Serve la stessa volontà che il governo, in una notte, è riuscito a trovare per inserire un emendamento «ad aziendam» per evitare la possibilità di una scalata a Mediaset. È giusto tutelare le aziende italiane. Ci aspettiamo la stessa determinazione per affrontare le criticità di tutto il settore, tutelando i diritti e le libertà. Tagli e bavagli non ci devono essere e vanno eliminati.

 

Equo compenso e lotta al precariato, cancellazione del carcere per i cronisti, contrasto alle querele bavaglio, riforma della Rai. A che punto è il confronto?

Sull’equo compenso e il lavoro mi auguro che entro febbraio il tavolo con governo e editori adotterà maggiori tutele per chi affronta retribuzioni inadeguate. Sul resto purtroppo siamo su un binario morto. È un film visto in altre legislature. In quella precedente la norma sulle querele bavaglio si è fermata dopo quattro letture al Senato. Ora è ancora lì, prevede la cancellazione della custodia carceraria, sollecitata dalla Corte costituzionale. La Rai è scomparsa dall’orizzonte. Presumo che, alla scadenza dell’attuale governance, si procederà con un’altra nomina del governo. Lo sganciamento del servizio pubblico dall’influenza del governo resterà sul tavolo.

 

Con un rosso da 250 milioni di euro la situazione dell’Inpgi è drammatica. In legge di bilancio il termine per l’eventuale commissariamento è slittato al 30 giugno 2021. E dopo?

Insieme allo slittamento, il governo ha riconosciuto il rimborso della spesa degli ammortizzatori sociali. È un atto di buona volontà e lo apprezziamo. Ma illudersi che basti significa pensare di fare le nozze con i fili secchi. Servono provvedimenti strutturali che permettano di allargare la platea degli iscritti. I comunicatori per il momento sono usciti dal tavolo. Il lavoro è l’unico carburante per tenere in piedi qualsiasi previdenza, se non c’è l’uno non c’è l’altra.

 

È stata proposta una garanzia pubblica per l’Inpgi. È realizzabile?

Se lo Stato deve ripianare il suo disavanzo ogni anno credo che questo non sia previsto dalla legge. L’unica garanzia pubblica possibile sarebbe quella che porta all’assorbimento dell’Inpgi nell’Inps dopo un periodo di commissariamento. Si possono immaginare altre forme di garanzia pubblica, ma questo presuppone una volontà politica che non si intravede. La dovrebbero esprimere un governo e un parlamento che hanno bocciato l’emendamento che rinvia di un anno il taglio all’editoria. Mi auguro che al tavolo dedicato si trovino le misure per garantire il Welfare e pagare le pensioni.