Ognuno di noi ha un bagaglio d’esperienze accumulate nel tempo che varia secondo il sesso, le scuole frequentate, i giornali abitualmente letti, la radio e le reti tv preferite, le proprie convinzioni politiche e religiose, le proprie attitudini ed inclinazioni e le opportunità offerte dal mondo in cui vive.

La diversità consiste anche nel parlare un’altra lingua, cucinare in un’altro modo, avere altri costumi, un’altra religione e altre abitudini di vita. Ci sono differenze che si manifestano attraverso l’aspetto fisico (la statura, il colore della pelle, i lineamenti del viso) e poi ci sono differenze di comportamento, di mentalità, di credenze, eccetera.

Tra le cose che ci sono al mondo, il razzismo è quella meglio distribuita. È un comportamento piuttosto diffuso, comune a tutte le società tanto da diventare banale. Esso consiste nel manifestare diffidenza e poi disprezzo per le persone che hanno caratteristiche fisiche e culturali diverse.

In generale l’essere umano tende a non amare qualcuno che è differente da lui, per esempio uno straniero. È un comportamento vecchio come il mondo ed è universale. È così dappertutto.

Il razzista è qualcuno che soffre di un complesso di inferiorità o di superiorità. Il risultato è lo stesso, perché il suo comportamento, in un caso o nell’altro, sarà di disprezzo.

Leggendo oggi l'editoriale di Mattia Feltri, direttore​ “Huffingtonpost” un blog e aggregatore statunitense fondato nel 2005 da Arianna Huffington, Kenneth Lerer, Jonah Peretti e Andrew Breitbart, e in breve tempo diventato uno dei siti più seguiti del mondo, ho dovuto per forza di cose fare un paragone.. Mattia é figlio di Vittorio Feltri, fondatore e direttore di vari giornali, dimessosi dall’Ordine dei Giornalisti pochi mesi fa a causa di alcune affermazioni e controversie su noi meridionali… E soprattutto su noi Napoletani...

Molti lo considerano “razzista" per le sue prese di posizioni contro gli immigrati e vicinissime alla Lega di Salvini.

Bene, leggete invece cose ha scritto Mattia, il figlio, oggi…

"Il ministro della Repubblica francese, Marlène Schiappa, ha chiesto ai prefetti di facilitare e accelerare la concessione della cittadinanza a circa settecento fra medici e infermieri di origine straniera che – come tutti i medici e gli infermieri – si sono battuti contro il covid. In prima linea, ci piace dire. Ma se, come in guerra, c’è una prima linea, corre senz’altro dentro gli ospedali. Hanno dimostrato il loro attaccamento alla Francia, ha detto Schiappa, ora tocca alla Francia dimostrare attaccamento a loro.

Mi sono venuti in mente i Miserabili, non il capolavoro di Victor Hugo, ma il film del 2019 di Ladj Ly, regista quarantaduenne nato e cresciuto a Montfermeil, comune di 25mila abitanti a pochi chilometri da Parigi. Negli anni Settanta, Montfermeil diventò una città di palazzoni e di proletariato, e oggi è una periferia di immigrazione. Lì c’era la locanda dei Thénardier, nel libro di Hugo, dove la piccola Cosette, sei anni, viveva da schiava. Lì si sollevarono le sommosse del 2005, e in molte banlieu parigine. Lì è ambientato i Miserabili, il film di Ladj Ly, un film meraviglioso che racconta di un territorio sottratto al controllo della legge e consegnato a quello delle bande, divise spesso per etnie e territorio, e dove la polizia finisce col seguire più le logiche tribali che quelle dei codici. Questa è la condizione di numerose banlieu, e la condizione della Francia da anni è di essere l’obiettivo prediletto dei terroristi, da Charlie Hebdo al Bataclan a Nizza.

Ma le tremende difficoltà e i numerosi errori commessi non fermano la République, per fortuna. Non esistono “gli immigrati”. Esistono i terroristi, esistono i fuorilegge ed esistono quelli che rischiano la pelle (magari nera, guarda un po’) perché sono partecipi del destino di una comunità. E se ne sono partecipi, appartengono alla comunità. Questo è il ragionamento – ovvio, ma nulla oggi è scontato – di Marlène Schiappa. E soltanto questo può fare una grande civiltà: accogliere chi ne vuole fare parte.

Lo dico perché in Italia ci sono circa settantamila fra medici e infermieri che arrivano  dall’Est Europa, dall’Africa, dal Medio oriente, e soltanto il dieci per cento di loro riesce a lavorare nel pubblico per opposizioni burocratiche. Ma durante la pandemia, ventimila sono stati chiamati ad aiutare nei pronto soccorso e nel ruolo di medici di famiglia. Volevano dare una mano, a rischio della salute, e ci sono riusciti. Ora bisognerebbe che una mano gliela tendessimo noi. Questo, io penso, sarebbe patriottismo…”.

Bravo Mattia... stai riscattando tuo padre…

Mimmo Porpiglia