È curioso che alle minacce di Matteo Renzi di aprire una crisi di governo il Pd risponda minacciando le elezioni. Poco prima del referendum di tre mesi fa – lo sciagurato referendum con cui si sono ridotti i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200 – il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, aveva infatti giudicata pericolosa la riforma se non si fosse messo mano alla legge elettorale. Noi ci siano chiesti e abbiamo chiesto come fosse possibile sostenere una riforma pericolosa per la Costituzione, in conseguenza di una legge elettorale o dell'altra, poiché le leggi elettorali sono ordinarie e qualsiasi maggioranza può cambiarle con uno schiocco di dita. Non abbiamo avuto risposte, ma vabbè, non è importante che si risponda a noi.

La faccenda era così grave da spingere Zingaretti alla temerarietà di invocare ad agosto l'approvazione del nuovo sistema di voto entro settembre, almeno in una delle due camere. Uno spirito ingenuo l'avrebbe accolta come una presa in giro, ma siccome non siamo estranei all'obbligo di considerare Zingaretti una persona seria, l'abbiamo accolta come il segnale dell'urgenza. E del resto, all'indomani del referendum, l'intera maggioranza (erano i tempi in cui si proclamava la vittoria sul virus, e avanzava tempo di occuparsi della Costituzione) si mobilitò per architettare i famosi contrappesi.

Tocca fare un piccolo passo indietro. La decurtazione della rappresentanza parlamentare era stata proposta dal governo Cinque Leghe, e il Pd si era opposto con vigore democratico. Il vigore si indebolì col passaggio del Pd in maggioranza al posto di Matteo Salvini: tagliare la casta, ecco la condizione irrinunciabile posta da Luigi Di Maio e truppa. Ok, tagliamo la casta, disse il Pd. Però servono i contrappesi. Primo fondamentale contrappeso, cancellare il bicameralismo paritario (su una riforma del genere, meno parlamentari e addio al bicameralismo, non avremmo avuto nulla da ridire).

Ma ai cinque stelle il bicameralismo piace da matti, e quindi niente da fare. La discussione è arrancata per mesi, avviata al ribasso, fino all'esoterico di affidare la salvezza repubblicana a una riscritta legge elettorale. Che però non è arrivata né prima del referendum né subito dopo né se ne vede sembianza oggi, primo giorno di gennaio 2021, mentre il Pd non intuisce altro sbocco alla crisi se non il voto, con vecchia legge elettorale e Costituzione in pericolo. Curioso, no? (Senza parlare del resto dei rimedi: funzioni distinte per Camera e Senato, e sedute comuni di deputati e senatori per elevati momenti di democrazia, come la fiducia all'esecutivo e le discussioni di bilancio, rimasti allo stadio di edificanti speculazioni filosofiche).

Se siete appassionati ai dettagli, in due parole, la legge elettorale studiata per salvare la Costituzione è proporzionale. E le leggi proporzionali prevedono uno sbarramento, cioè una soglia – nel nostro caso il 5 o il 3 per cento – sotto la quale un partito non ottiene parlamentari. Chiaro che con Renzi, ridotto a percentuali che avrebbero depresso Clemente Mastella, non se ne può parlare. E nemmeno tanto con Liberi e Uguali, la frangia di sinistra del governo. Intanto dall'opposizione si assiste divertiti: da quelle parti l'attuale legge elettorale (Rosatellum) va benone perché garantisce a Meloni e Salvini una vittoria sicura e ampia.

Secondo le simulazioni, con gli attuali sondaggi e il premio di maggioranza, la destra può coltivare l'ambizione di intascarsi il 66 per cento dei parlamentari e col 66 per cento – udite udite – qualsiasi governo si riscrive la Costituzione con un marameo. Non è un male stavolta che ne beneficerebbe la destra, è un male sempre e comunque. Però è particolarmente surreale che il governo nato per rimediare ai pieni poteri invocati da Salvini abbia ideato lo strumento per consegnarglieli col fiocco.

Per fortuna difficilmente si andrà a votare – pandemia, Recovery eccetera. Al massimo si proverà a sostituire Giuseppe Conte, ma questo è tutto un altro discorso. C'è tempo da qui al 2023 per evitare che la Più Bella del Mondo diventi una che si concede al primo che passa.