A lunghi passi verso un governo dalle larghe intese. O per meglio dire, in stile "Ursula", per richiamare la coalizione che ha consentito alla von der Leyen, parlamentare tedesca della Cdu, di issarsi alla guida dell'esecutivo della Comunità Europea (anche) grazie ai voti di Pd, M5S e popolari europei, partito di cui fa parte Forza Italia. Insomma: se lo specchio è quello, Mario Draghi, neo incaricato presidente del Consiglio dal Capo dello Stato Sergio Mattarella, si accinge a varare un governo con il beneplacito di dem, pentastellati e forzisti, senza trascurare il "mezzo appoggio" dei leghisti ed il no incerto di FdI, che tuttavia potrebbe astenersi in sede di voto di fiducia. La conferma di questo "stato di cose" la si conoscerà solo domani, quando ci saranno le consultazioni decisive con i rappresentanti di Lega e Movimento. Ma se le dichiarazioni della vigilia hanno un senso, tutto sembra propendere per il meglio. Insomma: il professore pare avviarsi a dormire sonni per così dire "tranquilli". Lo certificano i numeri e i numeri, oggi, sono dalla sua. A partire dal Pd, che ha già fatto sapere per il tramite del segretario Nicola Zingaretti, che voterà la fiducia; per non dire dell'appoggio più o meno tacito del partito di via Bellerio (per il "numero due" del Carroccio Giancarlo Giorgetti, "Draghi è come Ronaldo" mentre al segretario Matteo Salvini "piacerebbe che nel governo ci fossero tutti"). Detto del "niet" di Fratelli d'Italia ("non voteremo la fiducia, ma non per un pregiudizio nei confronti del presidente Draghi" ha detto la presidente Giorgia Meloni) l'ex presidente della Bce ha incassato anche la piena disponibilità di Matteo Renzi ("da noi sostegno a prescindere dalla squadra" ha detto il leader di Iv) oltre a quello scontato dei berlusconiani ("sì a un governo dei migliori" il commento del vicepresidente di Fi, Antonio Tajani). Resta scettico, al momento, il raggruppamento di Leu con Loredana De Petris che ha commentato laconica: "noi incompatibili con Lega e sovranisti". Mentre, sullo sfondo, si profila la diaspora pentastellata con le (solite) due anime spaccate sulla fiducia all'esecutivo. Da un lato, l'ala degli intransigenti che fa capo ad Alessandro Di Battista che guida la fronda dei contrari ("Ogni ora che passa, più ragioni per il no a Draghi"), dall'altra quella "possibilista" di Luigi Di Maio che apre, invece, e chiama i grillini ad appoggiare un patto di governo guidato dall'ex "numero uno" della Bce, in asse con i vecchi alleati dell'alleanza giallorossa. Insomma, al netto di qualche (comprensibile ed altamente preventivabile) "mal di pancia", la strada del neo inquilino in pectore di Palazzo Chigi sembra essere già stata tracciata. E non appare di certo in salita. Almeno per ora.