di Pietro Salvatori

Vito Crimi​ espelle ventuno deputati​ che non hanno votato la fiducia al governo Draghi. “Sono stato espulso dal Caporale politico”, tuona insolitamente sprezzante il mite Andrea Vallascas. “Crimi si guardi allo specchio”, l’invito del senatore Mattia Crucioli. “Ci aveva ampiamente minacciato”, l’accusa di Alvise Maniero. “Il nulla non può espellermi”, il giudizio secco di Emanuela Corda. Fonti del Movimento 5 stelle fanno trapelare parole di fuoco contro Alessandro Di Battista: “Farà come Renzi con Italia Viva quando ha fatto la scissione dal Pd”.​

Il deputato romano risponde a brutto muso: “Ho solo idee diverse dalle vostre. Rispettatele senza comportarvi da infantili avvelenatori dei pozzi. Sotto il post dell’espulsione pubblicato dal capo reggente una gragnuola di critiche: “Così è dittatura”. Nicola Morra ha chiesto un faccia a faccia con Beppe Grillo, Elio Lannutti coltiva l’idea di un ricorso. Raffaella Andreola, uno dei tre componenti del collegio dei probiviri che dovranno ratificare le espulsioni dal Movimento di deputati e senatori, tira il freno a mano: sospendiamo tutto “in attesa che vengano ricostituiti tutti gli organi del M5s”, riferimento al Direttorio a cinque di prossima nomina, un’uscita che sottilmente implica una delegittimazione per le scelte del reggente.

Il Movimento 5 stelle è un Vietnam, e il caos è bel lungi dal placarsi. I capigruppo di Camera e Senato hanno spedito ​ le lettere di espulsione dal gruppo parlamentare: “Dal resoconto risulta che hai votato in difformità. Pertanto, su indicazione del capo politico, dispongo la tua immediata espulsione. Un cordiale saluto”. Di cordiale in queste ore c’è solo il freddo saluto al termine di un’asettica missiva.

Ma le parole di Andreola significano speranza per chi, come Barbara Lezzi e lo stesso Morra, combatteranno fino all’ultimo secondo utile per contestare la decisione e rimanere dentro il Movimento. “Serve l’unanimità tra i probiviri - spiega uno degli interessati - e questa posizione ci da ancora tempo, lotteremo fino all’ultimo”. Una dinamica già nota, che negli anni per gli espulsi ha sempre previsto quattro passaggi: espulsione, contestazione, ricorso, conferma dell’espulsione. Difficile che questa volta fili tutto liscio.​

Perché l’espulsione di quel pezzo di 5 stelle rimasto coerente con le idee di qualche anno fa è una ferita nella carne viva dell’intero Movimento. E la probivira dissidente, presidentessa del consiglio comunale di Villorba, ha aperto una speranza per chi non ha intenzione di mollare, al punto che anche Morra, dopo Lezzi, ha annunciato la propria candidatura al prossimo Direttorio. Voci tra i dissidenti accreditano anche di un Davide Casaleggio molto contrariato dalla decisione: il figlio del fondatore viene dato addirittura in avvicinamento agli espulsi, ai quali potrebbe fornire un supporto in termini di strutture e organizzazione. ​

I ribelli intanto hanno iniziato a organizzarsi, anche se in ordine sparso, molti ancora immersi in una fase di ammortizzamento psicologico piuttosto che di elaborazione politica. Ma la frattura è difficile da rimarginare.​ Alcuni hanno già detto arrivederci e grazie e sono usciti dalle chat comuni. Lannutti ha rassicurato molti colleghi, spiegando di aver preso già contatti con l’Italia dei valori, che al Senato potrebbe mettere a disposizione il simbolo necessario per la costituzione di un nuovo gruppo.​

Perché l’obiettivo è quello: costruire delle formazioni parlamentari che possano diventare una spina nel fianco al M5s proprio sui temi fondativi della galassia grillina. Mentre Antonio Di Pietro spiega di non voler rilasciare dichiarazioni nel merito, la conferma arriva da Ignazio Messina, segretario di quel che rimane di Idv, che racconta di essere stato contattato dagli scissionisti: “Se c’è un progetto politico nuovo partendo da idee e valori condivisi, da parte nostra c’è una collaborazione piena”.​

Tutto risolto? Niente affatto. Perché l’interpretazione prevalente del regolamento di Palazzo Madama prevedrebbe che ad aderire al gruppo sia almeno uno degli eletti con quel simbolo. Che alle ultime elezioni faceva parte del cartello elettorale Civica popolare, il cui unico eletto è stato Pier Ferdinando Casini. Difficile immaginarlo accanto agli espulsi a contestare Mario Draghi sul crinale del populismo e dell’euroscetticismo. Mentre per i colleghi della Camera l’operazione dovrebbe essere assai più agevole, al Senato la situazione si complica: “Ma ci proveremo fino all’ultimo - dice deciso uno degli espulsi - perché perché dobbiamo dare una prospettiva politica alle nostre idee”.

Il primo risultato concreto dell’epurazione a Palazzo Madama è un ribaltamento degli equilibri, pareggiando la maggioranza che sostiene Draghi fino a qualche giorno fa a trazione giallorossa, considerati i 115 esponenti di Lega e Forza Italia e gli altrettanti di Pd, Leu e M5s. Un contraccolpo potrà esserci nel numero e nel peso dei sottosegretari, proprio in ragione del minor peso numerico della pattuglia pentastellata. Sicuramente ci sarà nelle Commissioni. I 5 stelle perdono due presidenze, quelle dell’Antimafia di Morra e l’Agricoltura al Senato, presieduta dalla silurata Vilma Moronese, e i numeri dei componenti dovranno essere rivisti alla luce della riduzione delle pattuglie di Camera e Senato.

È iniziato il lavorio dei pontieri: “Tanti colleghi che hanno votato in dissenso sono parte fondamentale del Movimento”, dice Paola Taverna. “È impensabile immaginare il Movimento senza i tanti amici e compagni con cui in questi anni, dentro e fuori dal Palazzo, abbiamo combattuto le nostre battaglie”, aggiunge Nunzia Catalfo. All’orizzonte non sono previste assemblee congiunte, “perché ci sbraneremmo”, dice un deputato.​

Ma alla domanda posta a chi siede nella stanza dei bottoni sulla quante possibilità ci siano che la frattura si ricomponga, la risposta è gelida: “Credo nessuna”.