Mi sento preso in giro. E con me, penso con convinzione assoluta, milioni di italiani. Gabbati quotidianamente, letteralmente afferrati per i fondelli, dalla nostra Rai in particolare. Trattati da stupidi fossili dell’umanità, presi per ciechi e soprattutto invitati all’esercizio della sordità, pratica impossibile per persone provviste di un udito almeno nella norma. Dovremmo non vedere e soprattutto non sentire. Ma a qual pro? Nessuna pretesa di spiegare o indottrinare, di convincervi con la forza delle parole, amici lettori ritrovati. Semplicemente l’esigenza di rappresentare la realtà amara e drammatica sotto gli occhi di milioni di italiani provvisti appunto di buona vista e discreto udito. La realtà del nostro Paese, l’Italia, martellata dal Covid con le sue varianti (strano che non abbiano ancora scoperto quella veramente italiana, nazionale, indigena, in questa babele di tipologie che rischiamo di mandare al manicomio e al creatore i nostri indifesi connazionali), e dallo scorrere di eventi in successione. Alcuni drammatici, quando non tragici, altri grotteschi, tristemente comici, ridicoli, scandalosi, vergognosi.

Dai telegiornali Rai, tutti i santi giorni e ormai da un mese: “Il piano del governo è quello di dare una poderosa accelerazione alla campagna vaccinaria”. Ovvero mettere a disposizione dei cittadini, a partire dagli ottantenni come me, il vaccino con l’obiettivo di raggiungere, nel tempo, la cosiddetta “immunità di gregge”. Che contribuirebbe a sistemare la popolazione al riparo di eventuali ulteriori micidiali contagi da coronavirus con le sue molteplici varianti denominate secondo la presunta provenienza geografica. Inglese, brasiliana, sudafricana, eccetera eccetera. Bene, anzi male, ogni giorno la stessa malinconica falsa canzone: “…dare un forte un impulso alla somministrazione del vaccino…”. L’annuncio, e poi? Il nulla, e il giorno dopo il medesimo ritornello recitato in tv. Una presa in giro. Nessuna colpa, sia chiaro, va attribuita al lettore di turno del notiziario. La verità è sotto gli occhi di tutti: la campagna in questione non decolla.

E io, sommessamente, sono qui a far rilevare un particolare che appartiene alla cronaca di tutti i giorni. Giornali e tv sono solerti e giustamente puntuali nel dare in pasto il terrore ai cittadini. Sì, la paura, attraverso la precisa comunicazione dei dati relativi ai tamponi effettuati, ai ricoveri in terapia intensiva, al numero dei contagi, dei sintomatici e degli asintomatici, regione per regione, provincia per provincia. Benissimo, ma perché non viene parimenti comunicato il numero delle persone vaccinate ogni giorno in Italia? Perché resta bassissimo, in rapporto alla celerità in atto in altri Paesi europei. Visto l’Inghilterra? Ha vaccinato già venticinque milioni di persone. Penso di conoscere le ragioni di certe differenze, ma sarebbe utile, non solo bello e corretto, che qualcuno ce le spiegasse. Invece niente, il silenzio assoluto. Intanto, “la campagna vaccinaria in Italia è destinata a subire una forte accelerazione…”.

Mentre cresce il numero dei decessi, lievita l’indice dei contagi, aumentano i ricoveri in terapia intensiva. Sul tema, il premier Draghi è andato già duro. Finalmente, era ora, dopo mesi di Conte (molto buone azioni e parole solo durante il lockdown della scorsa primavera, poi solo passi falsi) che ha venduto progressivamente paroloni e l’immagine di un’Italia che non esisteva, povera e disperata. Un attacco in piena regola, quello di Mario Draghi: pochi vaccini. E si è fermato lì. Avesse proseguito, avremmo registrato la parola “vergogna”. Il significato che in pratica ha attribuito intanto ai mille megafoni del virus in Italia. Che sia una sola persona a parlare, soltanto una, e non virologi, scienziati, e quant’altri, protagonisti e propagandisti di quotidiana confusione. Uno dice bianco, l’altro nero, il terzo bianconero, il quarto rosso, il successivo non si capisce cosa voglia dire. Zitti tutti, escluso uno. E che non sia il popolare Arcuri, supremo commissario: andrebbe silurato in fretta.

Permettete, amici lettori recuperati alla causa di questo giornale, permettete che prosegua nelle mie considerazioni. Che sono quelle che penso faccia ogni italiano medio. Consentite una domanda, di cui penso si conosca in partenza la risposta: qual è in questo momento la priorità assoluta per la totalità degli italiani? La pandemia e le sue conseguenze: non esiste altro argomento di eguale importanza. Invece no, la politica continua ad accapigliarsi sulla prescrizione, perdendosi in rivoli di oziose discussioni e contrapposizioni. E io mi prendo l’arbitro di dire con forza, interprete del comune sentimento e in linea con esso: a noi della prescrizione e di casotti politici vari non ci frega nulla, in questo momento molto particolare. Politici italiani, tutti insieme, testa contro testa, dedicatevi alla pandemia dalla mattina alla sera. Contribuite con le idee e le opere. Per carità, nessuno qui presume di vedervi nella parte dei guaritori, ma, vivaddio, dedicatevi interamente a questa maledetta che ha messo in crisi il nostro Paese.

Guardatevi intorno, vi sono negozi che chiudono, fabbriche che saltano come tappi di champagne, ristoranti e bar che non riapriranno mai più, l’esercito di chi ha perso il lavoro ha assunto dimensioni e proporzioni bibliche, tantissima gente è alla fame. Approvarla o non approvarla, della prescrizione si potrà parlare a tempo debito. Ora no. Precipitata in fondo alla classifica, in Europa l’Italia accusa forti ritardi. E smettetela, lor signori, di azzuffarvi per un posto di sottosegretario o di vice ministro. Risse verbali, solo quelle per fortuna, punto edificanti comunque, che hanno portato (e in alcuni casi riportato) in prima e in seconda linea svariati impresentabili (Il Fatto quoidiano pubblica una lista congrua) personaggi reduci da palesi fallimenti in precedenti governi. No, non è possibile, così avanti non si va; si retrocede. Riuscirà il neo premier, persona di enorme livello e di notorietà e stima infinite in campo internazionale, ad operare una sorta di miracolo?

Proviamo tutti a dargli una mano, nel comune interesse, laddove sovrano è quello del Paese. Sarebbe questa l’ora della serietà, evidentemente di difficile produzione e acquisizione in Italia. Sarebbe questo il momento di darcela davvero una mossa. Anche in riferimento al rispetto delle regole e alla valutazione del rischio. Il virus non guarda in faccia a niente e a nessuno. E in questo senso sono uno dei tanti a non capire una clamorosa diversità. Questa: cinema e teatri chiusi da mesi, costretti all’inattività e alla miseria gli operatori del settore, via libera invece al festival di Sanremo. Si proceda, alla faccia della vicina Ventimiglia blindata nella zona rossa e alla situazione generale, precaria assai, dei contagi in Liguria. Dicono: sai, gli interessi economici sono forti, l’organizzazione del festival è costato già un botto di soldi, non si può tornare indietro, per la Rai è vita, e le canzonette portano un minimo di allegria nelle case degli italiani. Quest’ultima conclusione estremamente opinabile, che personalmente non condivido. Il teatro del festival è storico, il famoso Ariston. Questa volta, assicurano gli organizzatori, senza pubblico, e ridotto a mo’ di bolla. Ma il covid con le sue varianti di provenienza straniera, e con il confine francese a quattro passi, ignora cosa sia la musica e non conosce il pentagramma. Sarebbe utile che qualcuno ci spiegasse.

Franco Esposito