di GABRIELLA CERAMIA

 

Nessuno se lo aspettava. Le dimissioni di Nicola Zingaretti da segretario del Pd lasciano tutti spiazzati. Anche i dirigenti dem, che lavorano a stretto contatto con lui, dicono di non essere stati informati, di averlo saputo da Facebook: “Mi vergogno – scrive – che da venti giorni si parli solo di poltrone e primarie”. È attraverso un post sui social che il numero uno dei democratici si è congedato, almeno per il momento, dando appuntamento all’assemblea nazionale del 13-14 marzo che “farà le scelte più opportune e utili”. C’è però chi giudica questo gesto come uno spariglio “una buona mossa di poker. Una mossa per anticipare la discussione e chiuderla definitivamente in Assemblea”. Insomma, Zingaretti punterebbe alla riconferma in assemblea. Matteo Ricci, neo coordinatore dei sindaci dem, lo ha subito auspicato a stretto giro: “Comprensibile e condivisibile lo sfogo di Zingaretti, ma Nicola deve rimanere e continuare il suo mandato con la rinnovata spinta dell’Assemblea”. Lo dice anche l’ex ministro Francesco Boccia: “Penso che l’Assemblea nazionale abbia una sola strada. Chiedergli di restare segretario del Pd che, grazie alla sua guida, è uscito da uno dei periodi più bui della sua storia”. Ma Zingaretti intanto ha fatto la sua mossa, a distanza di due anni esatti da quando è stato eletto. Di fronte al bombardamento continuo che arriva dagli eletti di Base Riformista e da Matteo Orfini, e con la prospettiva di farsi logorare e logorare il partito, il segretario ha annunciato le sue dimissioni. Oggi infatti fra i gruppi è molto forte la componente di Base Riformista che, però, non era presente al precedente congresso: i suoi aderenti erano, infatti, sparsi fra le fila renziane. Solo dopo la scissione del partito operata da Renzi, con la nascita di Italia Viva, Luca Lotti e Lorenzo Guerini ritennero necessario dare vita ad un’area “liberale e moderata” per contenere - si diceva allora - le spinte centrifughe che avrebbero portato il partito troppo a sinistra. Ne fa parte anche il capogruppo alla Camera Graziano Delrio tra i primi, insieme al suo omologo al Senato Andrea Marcucci, a chiedere un congresso che rimetta in discussione il segretario. Ora però Delrio, colto anche lui di sorpresa, dice che “in un momento così grave e difficile per il Paese il Pd ha bisogno che Nicola, che ha sempre ascoltato tutti, rimanga alla guida del partito. Il dibattito interno è fisiologico e non deve essere esasperato. Ritroviamo insieme la strada”. Un vero addio? O una mossa per stoppare lo ‘stillicidio’, come lo ha definito nel post su Fb in cui ha dato l’annuncio? Anche Dario Franceschini fa quadrato attorno al segretario dimissionario, che nei giorni scorsi aveva parlato anche della necessità di rilanciare il partito: “Abbiamo sulle spalle non solo il destino del Pd ma una responsabilità più grande nei confronti di un paese in piena pandemia. Il gesto di Zingaretti impone a tutti di accantonare ogni conflittualità interna, ricomponendo una unità vera del partito attorno alla sua guida”. A stretto giro, da poco diffuso il post delle dimissioni, arrivano nella sede del Pd, Marina Sereni, Luigi Zanda e Giuseppe Provenzano. Quest’ultimo dal Nazareno twitta: “Nicola Zingaretti ci ripensi, l’assemblea del Pd respinga le dimissioni del segretario”. E poi il vice Andrea Orlando, anche lui presente negli uffici dem: “Zingaretti ripensi la sua scelta”. Per adesso il mood nel partito è questo.