di Gianni Vernetti

Un anno fa, un’Italia spaventata da un virus sconosciuto e mortale e stordita da un lockdown durissimo e senza precedenti, assisteva esterrefatta ai mezzi militari russi che scorrazzavano liberamente fra l’aeroporto di Pratica di Mare e la pianura padana. La pandemia oltre a mettere a dura prova i sistemi sanitari di tutto il mondo, a provocare lutti e a far crollare le economie, è riuscita anche a rimettere in moto la storia delle relazioni internazionali, a cominciare da un’inedita assertività delle autocrazie di Russia e Cina.

La debolezza europea nell’affrontare la prima crisi pandemica globale ha rappresentato per la Russia un’occasione per aggiungere un ulteriore tassello alla propria “dottrina dell’instabilità permanente”: l’invio di una missione militare nel Nord Italia, gestita e coordinata dal Ministero della Difesa, con esperti dell’intelligence militare ed esperti di guerra chimico-batteriologica, ha rappresentato un pericoloso precedente di cooperazione rafforzata con un paese membro della Nato in un momento di grave difficoltà.

La durissima reazione del Ministero della Difesa della Russia con le minacce nei confronti del quotidiano La Stampa e dei giornalista Jacopo Iacoboni (“chi scava la fossa, può anche caderci dentro….”) che aveva svolto una legittima inchiesta sull’anomala missione dell’esercito russo, sono stati un ulteriore e preoccupante indicatore della nuova assertività russa.

La Cina, anche sull’onda del successo del contenimento del virus a Wuhan, ha promosso una narrativa fuorviante sulla pandemia, denunciando la debolezza dell’occidente e delle democrazie liberali incapaci di tutelare la salute delle proprie comunità e di combattere adeguatamente il virus.

L’idea e il messaggio, allora come oggi, sono semplici: il modello cinese del “capitalismo senza democrazia”, o quello russo dirigistico, centralizzato e illiberale si sono dimostrati più efficace nello sconfiggere il virus, mentre un Occidente decadente, debole e impaurito, non ha impedito che il virus dilagasse indisturbato. Oggi, a un anno di distanza dall’inizio della pandemia, la stessa competizione geopolitica si dispiega sul fronte dei vaccini. È una sfida a tutto campo che vede competere fra loro stati e aziende farmaceutiche, “democrazie” e “autarchie”, tutte in corsa nel migliorare le proprie capacità logistiche, produttive e di esportazione.

Ed è una sfida fatta anche di informazione e disinformazione per dimostrare l’efficacia delle proprie produzioni, evidenziare i limiti dei prodotti concorrenti, costruire alleanze politiche nei paesi importatori.

E l’Italia è uno degli anelli deboli di questa catena.

Siamo uno dei paesi più colpiti al mondo dalla pandemia: 3 milioni di contagi, oltre 100.000 morti, un sistema sanitario messo a durissima prova, un’economia stordita e rallentata, un paese sempre più indebitato. Tutti fattori, che in questi lunghissimi 12 mesi ci hanno esposto, più di molto altri paesi, alle interferenze di molteplici attori esterni. La Russia di Vladimir Putin è stata, in tal senso, il soggetto internazionale più attivo nella diplomazia dei vaccini e nel tentare di incunearsi nelle debolezze italiane ed europee. Poco importa se lo “Sputnik V” sia stato inoculato ad una percentuale ancora piccola di cittadini russi (neanche 7 milioni, fra prima e seconda dose, su 144 milioni di abitanti pari al 5% dell’intera popolazione), il vero impegno del Cremlino si è dispiegato soprattutto sul fronte geopolitico, sull’azione esterna.

Potendone esportare soltanto in quantità limitata, alla luce dei limiti della capacità produttiva nazionale, l’azione geopolitica di Mosca si è focalizzata su alcune iniziative di “propaganda”, insieme al tentativo di siglare accordi industriali con una molteplicità di potenziali produttori in occidente.

L’iniziativa russa a San Marino è stato un primo test: un paese sovrano e indipendente con seggio alle Nazioni Unite, facile da “aggredire” per le ridottissime dimensioni (31.000 abitanti) e quindi con la possibilità di vaccinare l’intera popolazione in breve tempo. La “campagna” della Repubblica di San Marino è stata rilanciata dai molti amici che la Russia ha nel nostro paese, a cominciare dalla Lega di Salvini, sempre in primissima linea nel suggerire più strette relazioni con il regime di Mosca, per finire con l’ex Primo Ministro Giuseppe Conte, il vero artefice dell’accordo con il Ministero della Difesa russo del marzo 2020, che permise ai mezzi militari russi di circolare liberamente nel paese.

L’offensiva industriale ha visto poi come protagonisti il fondo statale governativo per gli investimenti diretti (RDIF) che ha siglato decine di accordi con aziende produttrici in molti paesi europei. Fra questi, il caso già ampiamente documentato della svizzera Adienne Pharma&Biotech che con la sua succursale brianzola potrebbe produrre fra dieci mesi diverse milioni di dosi di vaccino.

L’accordo è stato annunciato poche giorni fa dalla Camera di Commercio italo-russa, il cui presidente è Vincenzo Trani, avvocato, finanziere, molto legato al regime di Mosca, pure console onorario della Bielorussia in Campania (!), che nel luglio del 2019, partecipando alla cena ufficiale con Vladimir Putin, Conte, Salvini e Di Maio denunciava con forza le “bufale” dei finanziamenti russi alla Lega.

Ma l’offensiva russa non si limita soltanto alla componente industriale, come denunciato pochi giorni fa da un’ampia inchiesta del Wall Street Journal, ma è affiancata da una capillare campagna di disinformazione per denunciare le molte inefficienze dei vaccini prodotti in occidente a cominciare da Pfizer, Moderna e AstraZeneca. Si tratta di una serie di siti web e campagne mirate sui social che puntano a evidenziare inesistenti effetti collaterali, denunciando i processi di sviluppi dei vaccini nei laboratori di Europa e Usa.

Le campagne di disinformazione russa incrociano volutamente le follie antiscientifiche dei movimenti No-Vax, alimentandosi a vicenda. La narrativa proposta anche in questo caso è semplice: i vaccini prodotti in occidente sono poco sicuri, con molti effetti collaterali negativi e soprattutto sono molto cari.

Si tratta in particolare di due organizzazioni, la “New Eastern Outlook” e la “Oriental Review“ entrambe finanziate e controllate dal SVR, il servizio esterno di intelligence russa, molto attive sul web e sui social. Si presentano come siti accademici e promuovono campagne contro gli Usa e in generale l’occidente. Ultimamente sono state molto attive nella difesa del Gasdotto NorthStream o nell’attacco alle critiche dell’occidente sulla situazione dei diritti umani in Cina. A queste si aggiunge il sito “News Front”, controllato dal servizio di intelligence del FSB (il successore russo del KGB), con sede nella Crimea occupata dall’esercito russo, e che produce news in 10 lingue.

Questi sono solo alcuni degli strumenti che il Cremlino ha messo in campo e che fin dalle prime battute della pandemia, hanno svolto un ruolo importante nel diffondere una falsa narrativa sulla crisi sanitaria globale mirata a fare apparire l’occidente debole ed incapace di reagire.

L’azione della Cina è stata meno aggressiva di quella russa, anche se è partita un’offensiva su vasta scala per esportare il proprio vaccino SinoPharm usandolo come strumento di diplomazia internazionale. Ad oggi questo “outreach” ha raggiunto un numero limitato di paesi e soltanto gli Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Pakistan, Egitto, Serbia e Ungheria hanno autorizzato gli acquisti e la distribuzione del vaccino di stato cinese.

A tutt’oggi la Cina non ha fatto domande alle Agenzie di Usa ed Europa e tutti i dati forniti da Pechino sull’efficacia dei vaccini cinesi non sono mai stati verificati da alcuna autorità indipendente. Nè SinoPharm, né le altre aziende produttrici cinesi sono stati approvati dall’Agenzia Europea per i Medicinali e nessuna procedura è stata ancora avviata in tal senso. I paesi che li hanno autorizzati, come l’Ungheria di Orban, lo hanno fatto solo per una scelta politica e di posizionamento geo-politico.

Ed in Italia il vaccino cinese Sinopharm può contare su uno sponsor eccellente: Beppe Grillo. Il fondatore e leader “elevato” del Movimento Cinque Stelle, da diversi giorni ospita sul suo blog post e articoli che invitano l’Italia e l’occidente a rifornirsi di almeno uno dei 4 vaccini cinese che hanno già raggiunto la fase tre della sperimentazione. Il Movimento 5 Stelle, dopo avere ispirato la solitaria adesione dell’Italia alla “Belt & Road Initiative”, prosegue dunque nel suo proporsi come la forza politica italiana più disponibile ad un dialogo a tutto campo con Pechino, anche in significativo contrasto con la linea atlantista ed europeista del Premier Mario Draghi.

Ma la vera novità nel campo della geopolitica dei vaccini è rappresentata dall’India. Su concessione di AstraZeneca, il Serum Institute di Pune (non lontano da Mumbai) produce già da diversi mesi milioni di dosi di “Covishield”, la versione indiana del vaccino di Oxford.

Il Serum Institute fondato nel 1966, è il più grande produttore mondiale di vaccini e storicamente conosciuto per la sua produzione su scala globale negli anni ’70 del vaccino contro il Tetano. L’istituto indiano di Pune sta producendo a ritmo serrato milioni di dosi di Covishield e insieme a Bharat Biotech, che sta producendo il secondo vaccino indiano (il Covaxin), rappresentano l’ossatura industriale sulla quale l’India poggia la sua capacità produttiva per il grandissimo mercato interno, ma anche per le sue azioni e ambizioni geopolitiche nell’area dell’Indo-Pacifico.

La diplomazia indiana dei vaccini ha già prodotto massicce spedizioni di lotti gratuiti verso Maldive, Nepal, Bhutan, Bangladesh, Myanmar, Mauritius, Seychelles, Sri Lanka e Cambogia e la competizione sempre fra Cina e India è sempre più accesa anche su questo fronte.

Si tiene online il primo vertice fra i leader del QUAD (Quadrilateral Security Dialogue) al quale parteciperà per la prima volta il nuovo presidente Joe Biden, insieme ai primi ministri di India, Narendra Modi, Giappone, Yoshihide Suga e all’australiano Scott Morrison.

Il Summit si focalizza su un aggiornamento delle strategie di sicurezza per l’Indo-Pacifico ed è atteso l’annuncio di un accordo fra le quattro potenze sulla produzione e distribuzione dei vaccini anti-Covid, in quella vasta area che va dalla California alle coste dell’Africa Orientale. L’unione delle capacità produttive di India e Usa ed una partnership sempre più rafforzata fra i due paesi, rappresenta un ulteriore messaggio verso Pechino su un ruolo sempre più attivo dell’alleanza fra gli Usa e le grandi democrazie asiatiche nello scacchiere dell’Indo-Pacifico.

Gli attacchi hacker dei giorni scorsi nei confronti di Bharat Biotech e del Serum Institute, mirati a rubare dati e informazioni sulla produzione dei rispettivi vaccini, sono soltanto l’ultimo capitolo della competizione indo-cinese anche in campo bio-medico. Secondo il Dipartimento di Stato Usa la responsabilità degli attacchi informatici sono da attribuire al gruppo “Red Apollo” (noto anche come “APT10” o “Stone Panda”), una realtà di cyber-spionaggio, legata ai servizi di sicurezza della Repubblica Popolare Cinese.

La pandemia del Covid-19 avrebbe potuto inaugurare una nuova stagione globale di cooperazione per combattere il virus, ma così non è stato. La competizione geopolitica non è stata messa da parte, anzi si è accentuata anche lungo direttrici inedite e inaspettate.

Il virus può essere sconfitto, come ha dimostrato lo stato di Israele e come lo confermano i tanti casi di successo delle campagne di vaccinazione di massa (Gran Bretagna, Cile, Usa…), ma il mondo dopo la pandemia sarà diverso da quello che abbiamo fin qui conosciuto.