di Franco Manzitti

Trenta mesi dopo un altro ponte autostradale fa tremare la città del Morandi crollato e del nuovo “San Giorgio”, costruito in meno di un anno. Su quello nuovo il traffico fila giorno e notte come se niente fosse accaduto.

Non fosse per il processo clamoroso che sta svelando una ad una le sue verità eclatanti. Ispezioni fasulle, controlli inesistenti sulle debolezze che avrebbero provocato la tragedia dei 43 morti, report scritti da “ciechi”.

Come si dicevano nelle intercettazioni i big di Aspi e di Autostrade, sghignazzando sui controlli “taroccati”.

Tre gallerie più in là, verso il Levante della città, il viadotto Bisagno, più alto del vecchio Morandi, nel percorso della A12, che collega Genova a Livorno, scarica nel vuoto pezzi di acciaio e cemento. Passerelle intere di un cantiere allestito per ripararlo. E butta nel terrore un quartiere ombelicale di Genova, quello a un passo dal monumentale cimitero di Staglieno.

Su questo viadotto panoramico le Autostrade cercano di mettere le pezze a una manutenzione mai eseguita. Come su tutta la rete ligure. In modo tanto maldestro che i pezzi volano di sotto, sulle strade, sulle case, sfiorando gli abitanti. Ormai in una pioggia che fa pensare a tutte le avvisaglie del crollo Morandi, a quegli stralli strappati, a quel cemento corroso dall’incuria.

È lo stesso film della paura, del terrore che la tragedia si ripeta appunto venti mesi dopo. E così la città si sente circondata da un rischio imparabile. Perché qui le autostrade corrono in mezzo ai quartieri cittadini. Sbucano dalle gallerie su questi ponti da brivido. Sopra quartieri che sono il ventre genovese, Staglieno, Marassi, Quezzi e poi Borgoratti.

E dall’altra parte tutto il Ponente oltre il nuovo ponte ricostruito verso Sestri, Pegli, Prà, Voltri. Dove i cantieri e le barriere fonoassorbenti, tolte in fretta e furia, terrorizzano decine di migliaia di abitanti per il rumore. Ma soprattutto per il crollo temuto e per i blocchi di traffico che trasformano il tracciato di decine di migliaia di Tir in serpenti immobili.

Una settimana fa un ignaro automobilista si è ucciso, non frenando in tempo. E andando a schiantarsi sulla coda di un Tir spagnolo fermo, paralizzato come il traffico davanti a lui per chilometri e chilometri.

È uno stillicidio di incidenti, code, cantieri, corsie uniche che strangola la cosidetta Grande Genova. Con un cappio che era partito dalla caduta del Morandi il 14 agosto del 2018. E che che continua ora con il “bombardamento” dal Bisagno.

Qui Balilla gridò “che l’inse”, qui comincia il processo per il ponte Morandi

E in mezzo a questo inferno, nell’epicentro cittadino, c’è il palazzo di Giustizia. Costruito a due passi da dove il mitico Balilla, Giovanni Battista Perasso, aveva gettato la pietra contro gli austriaci invasori, gridando il fatidico “Che l’inse”, che si incominci. Qui il processo alle autostrade assassine va avanti, tra continui colpi di scena.

“Che l’inse”, il processo è veramente cominciato e entrato nel vivo. Hanno costruito un enorme tendone nel cortile del palazzo di Giustizia per celebrare in sicurezza anti Covid le udienze. E siamo alla vigilia del rinvio a giudizio. Mentre scoppiano i fuochi artificiali delle rivelazioni uscite con gli “incidenti probatori”. E con la scoperta dei colloqui segreti di dirigenti autostrade e di controllori dei ministeri. Che sapevano quanto rischiasse il Morandi. E facevano perfino battute ironiche, tanto pesanti che perfino la famiglia Benetton si spacca finalmente al suo interno. E Sabrina lascia il consiglio di amministrazione di Atlantia, davanti a questa valanga di rivelazioni sconvolgenti.

Si attende la fine primavera, quando il processo arriverà al suo momento cruciale. Probabilmente la svolta che ora è in parte coperta dalla tattica della Procura della Repubblica. Che sta costruendo un castello di accuse, senza svelare tutto per colpire una difesa in grande difficoltà.

Certezze che inchiodano chi trascurò la manutenzione del ponte

Le certezze incominciano a essere tanto evidenti da inchiodare gli indagati in attesa di diventare a tutti gli effetti imputati con accuse gravissime. Il ponte è caduto alle 11,36 del 14 agosto 2018, perché si è strappato lo strallo che alla pila 9, lato mare, direzione Genova teneva in equilibrio la struttura. L’interno di quello strallo era spezzato e arrugginito. Come hanno accertato i periti che avevano esaminato il pezzo. Trasportato in quel capannone di Zurigo, dove i superesperti svizzeri, incaricati dai giudici, lo avevano sezionato.

E i dirigenti autostradali sapevano di quella debolezza, cui doveva essere posto riparo nell’autunno del 2018, tre mesi dopo la catastrofe, con una operazione di cosidetto “retrofitting”, già compiuta su alcuni degli altri stralli.

Genova trema di rabbia e di paura - E così Genova trema di indignazione per la verità che sta emergendo e dall’altra parte trema di paura per gli altri crolli che minacciano il “Bisagno” e gli altri tratti.

Resta una città ferita, ma che ha saputo reagire non solo ricostruendo quel ponte disegnato da Renzo Piano e da Italferr e rifatto da Salini Impregilo, che oggi si chiama Webuild e da Fincantieri. Sotto l’occhio vigile del Rina, la grande società di autocertificazione ora chiamata a controllare i rischi dell’altro ponte, il Bisagno.

È diventata, questa Genova strangolata dalle autostrade al colasso e come il resto del mondo chiusa e frenata dalla pandemia, la città delle ruspe e dei grandi cantieri.

Le ruspe alla fu Fiera del Mare - Dove c’era la grande Fiera del Mare e si celebrava il Salone Nautico più importante in Europa, le ruspe stanno spianando i vecchi padiglioni. Per creare lo spazio al Waterfront di Levante, una via d’acqua e di promenades panoramiche. Che collegherà il Porto Antico con questa area affacciata sull’imboccatura del porto, piena di darsene e porticcioli.

Anche qui disegno di Renzo Piano e grandi gruppi europei. Che investono per un’area tra il residenziale, il commerciale e il marittimo navale.

Intanto le benne e le gru portano via pezzi di storia anni Sessanta-Settanta-Ottanta-Novanta.

Altre ruspe abbattono sulle colline di Ponente la Diga di Begato. Grande costruzione di edilizia popolare. Monumento a una politica social comunista dei primi anni Settanta, diventata il simbolo di un fallimento edilizio e politico delle famose giunte rosse.

Stanno spianando la Miralanza, quella di Calimero - In Valpolcevera, quasi sotto il nuovo ponte, altre ruspe spianano lo storico stabilimento della Miralanza. Ventimila metri quadrati di insediamento industriale, un altro frammento di storia del Novecento. Un gruppo bergamasco ha investito in quell’area di pura storia industriale italiana e si scommette su quale insediamento verrà realizzato.

Le ruspe e le gru sono pronte a intervenire anche nel centro storico della città, secondo un piano varato dal sindaco Bucci denominato “Caruggi”. Che riorganizza i vicoli genovesi, le piazze, gli spazi di ingresso di uno degli agglomerati storici più grandi in Europa. Per estensione e valore storico culturale.

Ma non è finita. A Cornigliano il quartiere (2delegazione” è il nome legale) è sottosopra per la riqualificazione delle strade. Nelle quali prima scorreva il traffico commerciale. Ora assorbito dalla nuova tangenziale costruita in fretta e furia per sopperire al crollo del Morandi. E deviare il traffico dei Tir verso le banchine portuali.

Cambia così anche la spina dorsale di una delegazione che era dominata dal grande insediamento dell’ex Italsider, poi Ilva. La prima acciaieria a ciclo continuo costruita in Italia, nata negli anni Cinquanta. E che aveva dominato pesantemente in quell’area, occupando quindicimila operai, ma inquinando con il suo altoforno.

Oggi il destino dell’Ilva, di proprietà della multinazionale Acelor Mittal, è sospeso tra Taranto e Genova. E la Superba ne approfitta per riqualificare una zona, annerita per decenni dal fumo e dal fuoco.

Genova traballa sui suoi ponti e sulla sua rete autostradale. Ma cerca di cambiare il suo volto. Un po’ come era cambiato a Milano alla vigilia del terzo Millennio. E nei primi anni del Duemila. Con le grandi operazioni urbanistiche, che cambiarono la zona di Porta Garibaldi. E crearono prima la zona di City Life con i suoi nuovi grattacieli e poi quella della nuova Expò. Strutturando una nuova città in grande spinta, che si è fermata solo con l’apocalisse della pandemia.