Riuscirà Mario Draghi a dare finalmente avvio a quella stagione delle riforme che da tempo vengono considerate indispensabili per dar corpo al tanto auspicato rinnovamento della nostra vita pubblica? Se lo chiedono in molti nella speranza che all'ex presidente della Banca centrale europea riesca quel che non è riuscito a nessuno dei suoi predecessori. Ma la speranza si scontra con una realtà dalla quale non è assolutamente possibile prescindere ed è che, per realizzare le riforme non basta un presidente del Consiglio, per autorevole ed efficiente che sia.

Occorre di più: occorre una classe dirigente animata dalla volontà di raggiungere un risultato comune. Ecco, allora, che l'interrogativo che abbiamo posto all'inizio propedeuticamente, impone di chiedersi: esiste, nel nostro paese, una classe dirigente di questo tipo? Francamente non c'è la sentiamo di dare una risposta positiva e non possiamo non giungere alla conclusione che nonostante se ne continui a parlare ormai da decenni, il processo di riforma è di rinnovamento è rimasto fermo al palo il che è dovuto soprattutto all'incapacità di una classe politica perduta nei suoi bizantinismi, non in grado di superare i propri limiti, costantemente impegnata in risse da pollaio che non le consentono di volare alto. Né può essere di consolazione il fatto che la mediocrità di coloro che svolgono funzioni di governo sia fenomeno comune a tutti o quasi tutti i paesi del continente europeo (dove sono i Churchill, gli Adenauer, i De Gaulle che hanno fatto la storia dell'Europa del dopoguerra?).

Nasce da queste considerazioni il convincimento che, se davvero si vuole realizzare, in concreto una stagione di riforme, è necessario migliorare la qualità degli uomini che dovrebbero porvi mano. Del resto, come più volte ricordato, il vecchio Pietro Nenni avvertì che la politica, come le idee, camminano sulle gambe degli uomini. Ma è possibile migliorare la qualità della classe politica o siamo condannati a tenerci quella che le contingenze e il destino ci assegnano? L'impresa è apparentemente impossibile, ma la decisione di Sergio Mattarella di affidare la guida del governo a Mario Draghi, nasce proprio dall'esigenza di ricorrere a qualcuno che, prescindendo dal loro tran-tran dei partiti, possa realizzare imprese all'apparenza impossibili.

Si tratta, cioè, di dar vita a quel "progetto umano" come lo ha definito Alessandro Aleotti in un pregevole saggio significativamente intitolato "L'illusione del cambiamento" che dovrebbe consentire la formazione di un gruppo dirigente in grado di sostituire quello che si è rivelato del tutto inadeguato Draghi è alle prese con molti problemi, primo fra tutti il dramma della pandemia. Ma il presidente del Consiglio dovrebbe dedicare, comunque, la propria attenzione anche allo studio di un sistema formativo per la selezione della classe dirigente: un'operazione a largo raggio che non può non partire dalle università, insieme con la revisione della legge elettorale (e sul tema farà bene a cimentarsi anche il neo segretario del Pd Enrico Letta), senza aver paura di prendere a modello quei paesi europei, soprattutto anglosassoni, dove esistono, da tempo, efficaci sistemi di selezione della classe dirigente.

OTTORINO GURGO