di Fabio Porta

Il Brasile sta vivendo la catastrofe che gli epidemiologi avevano previsto all'inizio dello scorso anno: non ci sono più posti nei reparti di terapia intensiva degli ospedali, le attrezzature necessarie per le intubazioni termineranno nei prossimi giorni in molte città e ci sono addirittura pazienti intubati con anestetico diluito. 

I 300mila morti per Covid sono più di tutte le vittime che il Brasile ha avuto a causa dell'AIDS fino ad oggi. Secondo la CNN Brasil il governo Bolsonaro lo scorso agosto ha bloccato l'acquisto dei "kit intubazione", mentre a settembre aveva rifiutato l'offerta di vaccini della Pfizer. Nei dodici mesi di pandemia il governo brasiliano (unico caso al mondo!) ha cambiato ben quattro Ministri della Sanità e si è contraddistinto per avere praticamente disincentivato l'isolamento sociale, rendendolo ancora più necessario nonché costoso ogni qualvolta è stato introdotto. Senza parlare delle ripetute minimizzazioni della pandemia da parte del Presidente del Brasile, che ha comparato a un piccolo raffreddore il virus e più di una volta è apparso in pubblico senza mascherina. 

Davanti ad un quadro così sconfortante, la scorsa settimana un manifesto firmato da esponenti politici di tutti gli schieramenti politici ha chiesto unità di fronte alla deriva autoritaria dell'esecutivo rivolgendo a quest'ultimo un ultimo appello affinchè assumesse immediate misure in grado di evitare il definitivo precipitare di una situazione già ai limiti del sostenibile. 

Nelle stesse ore in cui questi appelli si moltiplicavano, non solo nel mondo politico ma da più parti della società civile, Bolsonaro si è esibito – a un anno esatto dall'inizio della pandemia – in uno dei suoi tanti discorsi televisivi, questa volta cercando di correre ai ripari annunciando l'istituzione di un Comitato anti-Covid, l'impegno per la campagna di vaccinazione e la necessità di cure specifiche per prevenire le infezioni.    

Probabilmente tardi per un Paese ancora segnato da forti sperequazioni in campo economico e sociale, tanto tra le aree del Paese quanto all'interno di una popolazione di oltre duecento milioni di abitanti. Se è vero infatti che i 300mila morti per Covid in Brasile non sono, proporzionalmente agli abitanti, superiori ai dati analoghi di Italia o Stati Uniti, la composizione demografica della popolazione unitamente alla precarietà del tessuto sociale brasiliano e alle criticità di un sistema sanitario distribuito in un territorio continentale suscitano forti perplessità sull'omogeneità di tali comparazioni. 

Per questi motivi la situazione brasiliana desta una evidente e giustificata preoccupazione; il principale paese sudamericano, un gigante dove vivono 210 milioni di persone e dove risiede la più grande comunità di italo-discendenti al mondo, non può essere lasciato solo di fronte ad un dramma che nelle ultime settimane sta uccidendo una media di tremila persone al giorno. 

Emblematiche le parole contenute nel documento sulla pandemia dei vescovi brasiliani, divulgato qualche giorno fa: "Non possiamo arrenderci all'indifferenza di alcuni, al negazionismo di altri o alla tentazione degli assembramenti, permettendo che ci contaminiamo e che diventiamo strumenti di contaminazione, sofferenza e morte di altre persone. Non lasciamo che la stanchezza e la disinformazione ci conducano ad atteggiamenti irresponsabili. Siamo forti!". Il Brasile è forte e saprà ritrovare le dovute energie per fronteggiare anche questa emergenza; la comunità internazionale deve sostenere la società civile brasiliana ascoltando con attenzione gli appelli che da essa provengono perché di fronte alla pandemia – come ci ha ricordato Papa Francesco – "Nessuno si salva da solo!"