RENATO SILVESTRE

La sconfitta a Zama pose fine alla resistenza di Cartagine ed alla seconda guerra punica; Cartagine dovette subire le rigidissime condizioni di pace dei romani ma Scipione, durante i trattati di pace, fu magnanimo nei confronti di Annibale: avrebbe potuto pretendere che fosse consegnato come prigioniero (a Roma sarebbero andati in delirio nel vederlo in catene, e, forse, anche a Cartagine) ma preferì lasciarlo libero in patria. Annibale, che aveva ormai 46 anni e tornava nella sua Cartagine dopo 36 anni di guerre, senza mai perderne una, se non l'ultima, quella decisiva, fu accolto dall'oligarchia locale e dalla classe mercantile, che non l'ebbero mai in simpatia (del resto la sua testardaggine ed il suo odio contro Roma avevano portato alla guerra e, quindi alla distruzione di Cartagine), da una serie di false ed inverosimili accuse che lo costrinsero a forzare la mano. Messosi alla testa del partito popolare, riuscì a spodestare l'oligarchia che governava la città e la sostituì con un governo a base popolare. Cercò quindi di rimettere ordine, sotto l'attento sguardo di una sospettosa Roma, in uno Stato corrotto e dominato dagli scandali, tentò di abbattere i privilegi dell'oligarchia e della classe mercantile, si accinse ad attuare una riforma dello Stato; cercò anche di incrementare le entrate fiscali, necessarie per la rinascita di Cartagine, ma la sua fissazione nel voler distruggere Roma gli alienò alla lunga anche le rimanenti simpatie di cui godeva in patria. L'oligarchia senatoria e la classe mercantile, sempre ostili nei suoi confronti, contrarie alla guerra contro Roma sin dai tempi di Amilcare, non ci stavano a farsi trascinare in una nuova, incerta avventura, preferendo la condizione di una dura pace, che però lasciava la speranza di una graduale rinascita, ad un nuovo periodo di guerra ed instabilità, che avrebbe ancora turbato i traffici dei ricchi mercanti di Cartagine, e lo denunciarono ai Romani. Il Senato di Roma, nonostante la contrarietà di Publio Cornelio Scipione che difendeva il nemico sconfitto, ancora terrorizzato dalla figura del grande generale cartaginese, decise l’invio di una commissione d’inchiesta, con l'intenzione di saldare una volta per tutte i conti con Annibale. Avvertito il pericolo, Annibale capì che in Patria non c'era più posto per lui e si imbarcò di nascosto, rifugiandosi prima presso il re seleucide Antioco III, poi a Creta quindi da Artaxe in Armenia, infine in Bitinia presso il re Prusia, continuando, di corte in corte, a lottare Roma, in verità senza fortuna. I Romani, per loro conto, non smisero mai di inseguirlo, convinti che finché lui fosse stato in vita, il timore di trovarselo contro non poteva dirsi scampato. Lo avevano quasi preso, una prima volta, quando era rifugiato presso Antioco III, ma Annibale, avvertito in tempo, ebbe il tempo di scappare. Fu ancora braccato e, quando i romani, infine, lo intercettarono in Bitinia, presso la corte di Prusia, non ci fu più scampo; Roma chiese che Annibale le fosse consegnato come prigioniero e Prusia, per non inimicarsi i romani, accettò l'intimazione. Annibale, però, piuttosto che cadere nelle mani dell'odiato nemico, si decise a prendere quel veleno che, come diceva, aveva a lungo conservato nel castone del suo anello: sangue di bue. Si concludeva così in Bitinia, nei pressi di Lybissa, l'attuale Gebze, situata a 40 km a est di Bisanzio, sul Mar di Marmara, la parabola del condottiero cartaginese. La leggenda narra che il generale, poco prima di assumere il veleno, avrebbe detto: «Liberiamo i romani da questa incessante angoscia, dato che non riescono ad attendere la morte di un vecchio». Era il 183 a.C.; Annibale ormai era solo un vecchio di 64 anni che aveva passato tutta la vita con un solo scopo: sconfiggere Roma. Lo storico romano Tito Livio, che descrisse vizi e virtù del grande condottiero cartaginese, di lui ricorda: «Massima era la sua audacia nell'affrontare i pericoli, massima la sua prudenza negli stessi, da nessun disagio il suo corpo poteva essere affaticato, né il suo coraggio poteva essere vinto. [...] Era Annibale il primo tra i fanti ed i cavalieri. Egli nell'avviarsi alla battaglia precedeva tutti, e finito lo scontro tornava per ultimo » (Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 4, 5-8). Roma cercò di dipingerlo come un barbaro ma è vero che fu spesso generoso verso i nemici leali e coraggiosi e mai si abbandonò a carneficine ai danni dei vinti (come fu spesso costume romano); di statura morale non usuale nel suo tempo, si mostrò abilissimo in guerra, evidenziando molte volte un grande genio militare, ed in pace si rilevò intelligente amministratore, risanando le finanze cartaginesi. Il suo unico scopo fu quello di difendere gli interessi della Patria e non vi fu in lui alcuna cupidigia di gloria, quella cupidigia che altri grandi condottieri ebbero, prima e dopo di lui.