di Michele Bovi

Nell’anno delle celebrazioni di Enrico Caruso – il prossimo 2 agosto saranno 100 anni dalla sua morte – gli editori italiani stanno cercando di mettere finalmente ordine alla caotica situazione dei diritti d’autore del brano che per primo il “tenore dei tenori” rese celebre nel mondo: ’O sole mio.

La canzone pubblicata nel 1898 è ancora tutelata dal copyright e lo rimarrà fino al 2042, ovvero a termini di legge fino a 70 anni dalla morte del suo autore più longevo: il musicista napoletano Alfredo Mazzucchi, scomparso all’età di 94 anni nel 1972.

La canzone che Enrico Caruso incise nel 1916 da tempo sarebbe di pubblico dominio se il Tribunale di Torino nel 2002 non avesse dato retta agli editori Bideri e agli eredi di Mazzucchi che da 17 anni compare nei crediti come coautore di ’O sole mio assieme al compositore Eduardo Di Capua e al poeta Giovanni Capurro.

Mazzucchi, secondo la ricostruzione storica operata dal giudice Maria Alvau, all’epoca dei fatti era un giovane musicista che faceva ascoltare al pianoforte i suoi lavori al già noto Di Capua, il quale vi apportava qualche modifica e quindi li pubblicava soltanto a suo nome. Il collaboratore, in cambio di un congruo compenso, rinunciava alla paternità.

Il magistrato ha deciso di ristabilire la verità riconoscendo Mazzucchi quale effettivo compositore di ben 23 brani firmati da Di Capua, tra i quali le immortali I’ te vurria vasàTorna maggioMaria Marì e pertanto nel 2002 ha disposto il nuovo deposito presso la SIAE di ’O sole mio e delle altre 22 canzoni con il nome di entrambi i compositori. Determinando di conseguenza una pioggia di profitti arretrati e allungando di vent’anni la protezione del diritto d’autore a beneficio di tutti gli eredi e dell’editore Bideri. Cifre imponenti, se si considera che stando alla stima effettuata per i magistrati torinesi dal maestro Carlo Alberto Rossi nel 2002, la sola ’O sole mio risultava rendere circa 150 mila euro l’anno.

Da quattro anni il catalogo Bideri è stato acquistato dalla Ricordi (gruppo Universal Music) che in occasione del centenario della morte di Enrico Caruso vorrebbe appunto chiudere tutte le vertenze relative a ’O sole mio, da oltre 70 anni bersaglio di contraffazioni, plagi e illeciti vari. La canzone italiana più famosa nel mondo è stata molte volte pubblicata e reinterpretata da altri artisti senza che venissero riconosciuti i crediti agli autori originali. I due casi più celebri sono targati RCA, il colosso discografico statunitense. La prima volta nel 1949 ’O sole mio fu tradotta There’s No Tomorrow e attribuita al compositore di origine russa Al Hoffman: divenne un successo strepitoso con diverse interpretazioni: prima Tony Martin, poi Dean Martin e per ultimo Al Martino. La seconda volta nel 1960 con Elvis Presley: la ’O sole mio del “re del rock” intitolata It’s Now Or Never fu ascritta ai cantautori newyorkesi Wally Gold e Aaron Schroeder. Tra la vedova di Schroeder e la Società italiana degli autori ed editori è in atto da qualche anno una vertenza proprio perché la SIAE accogliendo le proteste degli editori italiani ha congelato i profitti di It’s Now Or Never destinati all’autoproclamatosi autore americano.

 

Ora la Ricordi sembra in dirittura d’arrivo per una definitiva soluzione con la signora Schroeder. Di contro l’Ente deputato alla tutela dei diritti degli autori ed editori nostrani non si è dimostrato altrettanto vigile nell’accettare i depositi di una miriade di canzoni che sfruttano il titolo di ’O sole mio. Nell’Archivio delle opere musicali della SIAE compare infatti 73 volte quello stesso titolo. Due sono i depositi del brano originale di Di Capua-Mazzucchi-Capurro, uno per l’Italia e l’altro con il titolo inglese When The Sun Is Waking per l’estero. Poi ci sono 22 esecuzioni con nuovi arrangiamenti che rispettano i crediti originari con l’aggiunta dei nomi degli “elaboratori”. Poi arrivano le canzoni nuove con i titoli che richiamano il popolare modello: ’O sole mio a Milano, ’O sole mio sei tu, Addò è ffernuto ’o sole mio?, Datemi ’o sole mio. Fin qui, per quanto possa talvolta apparire stravagante, tutto è formalmente regolare.

La sorpresa sta nel fatto che a questi titoli si aggiungono 30 composizioni che in qualche caso nulla hanno a che spartire con la melodia del capolavoro partenopeo, eppure sono state depositate come ’O sole mio, attribuite ciascuna ad autori diversi: dal compositore russo-americano Al Sherman al trombettista canadese Maynard Ferguson, dal duo sudcoreano Seo Yon Bae e Kim Chang Rak all’arrangiatore sudafricano Manie Bodenstein Verw; i funzionari della SIAE hanno addirittura accettato un deposito di ’O sole mio intestato a un “compositore ed autore” chiamato Public Domain (ovvero Dominio Pubblico) che si avvale nei crediti di ben quattro arrangiatori svizzeri, un editore spagnolo e un sub editore austriaco: sembra un pesce d’aprile, invece è il frutto di un malinteso sulla scadenza dei diritti d’autore o verosimilmente una formula per far quattrini.

Quella dei “titoli confusori” è infatti un’antica piaga dell’Archivio delle opere gestito dalla SIAE: battezzare una canzone con il titolo di un successo da hit parade ha significato per tanti anni e tanti volponi drenare i profitti dei diritti d’autore. “È un problema reale e annoso. – dice Matteo Fedeli, direttore della divisione musica della SIAE – Nasce da una vecchia ordinanza che stabilì che la SIAE non può rifiutare a un autore il deposito di un titolo preesistente. Oggi cerchiamo di cautelarci con una regola che impedisce il deposito di un titolo se già presente nell’Archivio attribuito a un cognome omonimo a quello dell’autore della nuova opera. Ovvero l’autore Marco Rossi non può depositare il titolo Albachiara, confondibile con la canzone di Vasco Rossi. La tecnologia ci è venuta in aiuto: attualmente il controllo delle similitudini lo effettua il computer in automatico e l’errore è scongiurato. Comunque stiamo procedendo con verifiche a tappeto per tutto il pregresso, a caccia di antichi trucchi ed elementari malintesi”.

Oggi anche Mogol, nella veste di presidente della SIAE, può rendersi facilmente conto che i titoli da lui ideati per le canzoni scritte assieme a Lucio Battisti, per quanto fossero insoliti, hanno tutti procreato gemelli: sono ad esempio 6 i brani depositati con il titolo Sì viaggiare, 5 Mi ritorni in mente, 5 Una donna per amico, 4 Innocenti evasioni, 2 Sette e 40 (scritto anche 7 e 40).

Insomma non sono solo Bideri e Ricordi a dover difendere l’unicità del capolavoro di cui detengono i diritti. Tanto più che da alcuni anni un musicologo dell’Università Federico II di Napoli, Giorgio Ruberti, ha avanzato il sospetto che persino Di Capua si fosse ispirato per ’O sole mio a una melodia preesistente. In questi giorni Ruberti, ha dato alle stampe tradotta in inglese, e pertanto destinata all’attenzione internazionale, la sua ricerca (“Saggi sulla canzone napoletana classica”, Editrice LIM di Lucca) che propone un confronto tra ’O sole mio e Canzon d’amor, l’aria di apertura del terzo atto di Mala vita, opera composta da Umberto Giordano su libretto di Nicola Daspuro nel 1892, sei anni prima della pubblicazione di ’O sole mio. L’incipit melodico dei due brani è formato dalle stesse 4 note: Fa-Fa-Mi-Do. All’ascolto l’accostamento è davvero suggestivo. Ma sono sufficienti 4 note uguali, nell’attacco di un ritornello, a stabilire il plagio?

“È evidente che l’incipit è identico ma la funzione della cellula all’interno della frase è completamente diversa. – attesta il maestro Sergio Rendine, compositore di opere liriche - Non saprei dire se si sono ispirati o meno, a volte si creano coincidenze su cellule così elementari, ma una cellula di questo tipo non può ragionevolmente configurare un plagio, soprattutto essendo in un contesto completamente diverso. Pertanto mi sentirei di assolvere con formula piena il bravo Di Capua”.

“È quello che noi compositori definiamo ‘gancio’: un’idea di poche note che introduce il tema. – replica il direttore d’orchestra Vince Tempera – Le date di pubblicazione dei due lavori e l’area partenopea d’azione di entrambi gli autori mi lasciano supporre che Di Capua avesse ascoltato Canzon d’amor e che gli fosse rimasto impresso il ‘gancio’ utilizzato poi, magari inconsapevolmente, per ’O sole mio”.

“Effettivamente tra le due composizioni ricorre più di una volta uno stesso segmento melodico uguale. – dichiara l’avvocato Giorgio Assumma, luminare del diritto d’autore e presidente della SIAE dal 2005 al 2010 - Sotto il profilo tecnico giuridico ciò però non è sufficiente per attestare che esista un plagio, per due motivi: in primo luogo il segmento è costituito dalla sequenza di poche note che, prese di per se, non specificano una produzione creativa idonea ad essere classificata come frutto di creazione tutelabile. Tali poche note non sono, infatti, idonee a suscitare una sufficiente reazione estetica o emotiva da parte degli ascoltatori; in secondo luogo, questo segmento non è nuovo perché ben prima che lo adottasse Umberto Giordano era stato usato in molte melodie precedenti”.

Umberto Giordano (1867-1948), originario di Foggia ma diplomato al Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, ha composto opere rappresentate stabilmente in tutto il mondo come Andrea Chénier e Fedora. Mala vita fu il primo lavoro a dargli fama internazionale. L’incipit del suo Canzon d’amor, così somigliante all’inizio del ritornello del capolavoro napoletano composto sette anni dopo da Eduardo di Capua, era già in quell’epoca una formula musicale ricorrente.

Ne è convinto il direttore d’orchestra Natale Massara che ha rintracciato quella stessa successione di quattro note in numerosi lavori, tre molto famosi: il Concerto per pianoforte e orchestra op. 16 del norvegese Edward Grieg (1868), la Corale 105 Herzliebster Jesu del tedesco Joahn Sebastian Bach (1723) e il mottetto Carman’s Whistle dell’inglese William Byrd (1592). Plagio o no di Giordano, di certo se Enrico Caruso non fosse morto 100 anni fa, oggi tra la ’O sole mio di Di Capua-Mazzucchi-Capurro e le altre omonime 30 si troverebbe nell’imbarazzo della scelta.