Essere padri. Ed essere figli. Scoprire, proprio nel cuore drammatico della crisi da pandemia e recessione, la rete delle relazioni tra la consapevolezza del passato e la responsabilità del futuro. E dunque fare scelte, politiche e sociali che sappiano, contemporaneamente, proteggere gli anziani e costruire condizioni per garantire un destino migliore alle nuove generazioni, ai nostri figli e nipoti. Sta proprio qui la chiave più lucidamente progettuale della sostenibilità: tutelare e valorizzare l’ambiente, evitando che continui il degrado e dunque peggiori la qualità della vita e investire sull’innovazione, la formazione, la conoscenza, i migliori equilibri sociali.

La lezione migliore della crisi sta dunque nella consapevolezza di dover andare “oltre la fragilità” messa in dolorosa evidenza dagli oltre 107mila morti per Covid-19 in Italia (su quasi tre milioni di vittime e 127 milioni di malati nel mondo, alla fine di marzo). E di dovere lavorare non solo sul freno alla pandemia (con una vaccinazione di massa rapida ed efficace) e sulla cura dei contagiati, ma anche su un radicale cambio di paradigma dello sviluppo economico e sociale. Sulla qualità dell’economia. Sui rapporti sociali e i diritti ai beni pubblici (la salute e la scuola, innanzitutto). Sul lavoro (con il potenziamento delle opportunità per le donne) e sul welfare. E sulle relazioni tra progresso (economico, scientifico, sociale) e tutela delle persone. Su una Impact Economy fondata su green e digital economy, come giustamente la Ue impone per l’ambizioso Recovery Plan pensato, responsabilmente, per la Next Generation.

C’è un’immagine ricorrente, in alcuni dei discorsi più sapienti di questi lunghi e difficili mesi. Ed è quella di Enea che si carica sulle spalle il vecchio padre Anchise e prende per mano il piccolo figlio Ascanio, per fuggire dalle rovine di Troia e cercare, insieme, una via di fuga e di salvezza. Tre generazioni, tra la memoria e l’avvenire. La responsabilità dell’essere padre e la premura amorosa e grata dell’essere figlio. La consapevolezza della sconfitta ma anche il residuo d’orgoglio del guerriero che, pur vinto, si riscopre al centro di una gerarchia familiare e sociale e sa di dovere andare avanti per ricostruire una comunità (si chiamerà poi Alba Longa, e Roma, e Italia, quella comunità e avrà un uomo errante, un profugo che scappa dalla guerra, come fondatore).

A quell’immagine del mito aveva fatto esplicito riferimento Papa Francesco in un’intervista a “La Civiltà Cattolica” nell’aprile dello scorso anno, proprio all’inizio della pandemia: “L’Eneide di Virgilio, nel contesto della sconfitta, dà il consiglio di non abbassare le braccia: ‘Preparatevi a tempi migliori, perché in quel momento questo ci aiuterà ricordare le cose che sono successe ora. Abbiate cura di voi per un futuro che verrà. E quando questo futuro verrà, vi farà bene ricordare ciò che è accaduto’”. Ed ecco l’immagine di Enea, sconfitto a Troia, che “aveva perduto tutto e gli restavano due vie d’uscita: o rimanere là a piangere e porre fine alla sua vita, o fare quello che aveva in cuore, andare oltre, andare verso i monti per allontanarsi dalla guerra”.

Insiste il Papa: “È un verso magnifico: Cessi, et sublato montem genitore petivi. ‘Mi rassegnai e, sollevato il padre, mi diressi sui monti’”. È proprio ciò che tutti noi dobbiamo fare oggi, conclude Papa Francesco: “Prendere le radici delle nostre tradizioni e salire sui monti”. Non ci sono, nell’Enea di Virgilio, né l’epica dell’eroe né la retorica della sconfitta gloriosa. Semmai, l’umanissimo dolore per le conseguenze della guerra, la capacità di farsi carico e dunque di prendersi cura dei familiari e delle persone di cui ha responsabilità e la scelta, faticosa e necessaria, di mettersi in cammino, costruire un nuovo inizio di vita e di storia. Ecco perché quell’Enea è, oggi, un nostro contemporaneo. Ogni relazione, infatti, è contemporaneamente, una continuità e una frattura. Una custodia della tradizione (da alimentare come un fuoco, per usare l’efficace similitudine di Gustav Mahler). E un ambizioso impegno di cambiamento, trasformazione, costruzione di nuovi orizzonti.

Memoria e futuro. Oggi, tutto ciò significa scrivere un nuovo patto generazionale, che cerchi di rimediare ai guasti della frattura della metà degli anni Ottanta (con l’esplosione del debito pubblico, scaricato sulle spalle delle generazioni future, per consentire a quelle adulte dell’epoca di vivere nel benessere senza preoccuparsi di produrre nuova ricchezza). E sapere fare scelte per proteggere, oggi, gli anziani dalla malattia e dalla morte (un’urgenza) e per dare un futuro migliore ai giovani. Il mito di Enea, con l’immagine della famosa scultura di Gian Lorenzo Bernini, torna nelle parole di un capace, sensibile scrittore, Antonio Scurati, sulle pagine del “Corriere della Sera”, con il suo carico di suggerimenti per “la nostra salvezza”: “Mettersi in salvo abbandonando l’anziano padre è disumano, ma rischiare la propria vita per salvare il genitore senza avere un figlio da condurre per mano è gesto disperato. Ascanio, non Anchise, è anche da punto di vista strutturale il fattore di sostegno del gruppo scultoreo. Nel momento stesso in cui si scopre figlio, Enea deve sapersi padre”.

Scurati ne deduce sapientemente implicazioni politiche d’attualità: “Il mito dice alla cronaca che, mentre con una mano dobbiamo vaccinare i nostri anziani genitori, con l’altra dobbiamo fare tutto il possibile per riaprire le scuole dei nostri figli”. E, andando oltre l’emergenza di questi giorni convulsi, “c’è altro, molto altro da fare con ‘la mano di Ascanio’. Dobbiamo creare le condizioni affinché una società infeconda smetta di esserlo”. Infeconda per il crollo della natalità. Ma anche per la bassa crescita economica, il blocco dell’ascensore sociale, l’inaridimento delle speranze di migliori condizioni per le ragazze e i ragazzi di oggi. Ecco il punto: c’è una “Italia stretta dal declino demografico: 746mila morti e solo 404mila nati”, come titola “Il Sole24Ore” in apertura della prima pagina, dando conto dei dati Istat per il 2020. “Noi, vecchi italiani rimasti senza figli”, commenta su “la Repubblica” Gianpiero Dalla Zuanna, uno dei più autorevoli studiosi di demografia.

Siamo scesi sotto la soglia dei 60 milioni di abitanti, i nostri giovani più dinamici continuano ad abbandonare l’Italia e anche gli immigrati e i loro figli vanno via, cercando altrove, in Europa, migliori condizioni di vita, di lavoro e di crescita sociale. Culle vuote, giovani coppie sfiduciate, sviluppo bloccato. Un orizzonte d’incertezza e smarrimento. Aggravato, proprio in tempi di pandemia, da una scelta di alcuni poteri istituzionali, in regioni confusamente governate, di umiliare gli anziani vaccinandoli poco e in ritardo, per privilegiare categorie e corporazioni socialmente potenti. È un trend socialmente devastante, per i vecchi e per i giovani, da interrompere e ribaltare. I provvedimenti decisi con senso dell’urgenza e anche con lungimiranza dal presidente del Consiglio Mario Draghi vanno per fortuna in una direzione equilibrata. Privilegiare l’apertura delle scuole. Insistere sulla vaccinazione per fasce d’età. E, in prospettiva, scrivere un Recovery Plan efficace, su ambiente e innovazione, riforme e conoscenza. La lezione di Enea, Anchise e Ascanio, appunto.

ANTONIO CALABRÒ