DI MARCO FERRARI

Una trentina di case, l'una attaccata all'altra, muri di pietra, camini accesi, tetti inclinati, ruscelli dirompenti che scendono in un vallone umido. Siamo a Bosco di Rossano, un piccolo paese toscano con soli 13 abitanti a pochi metri dal confine con la Liguria che sta dalla parte opposta del crinale. Luogo adatto alla ricerca dei funghi e alla caccia al cinghiale. Eppure, in questo borgo nel comune di Zeri, in provincia di Massa Carrara, a 650 metri sul livello del mare, sono depositati i sogni di Orlando Menoni, figlio di emigrati in Uruguay. "Bosco" di Alicia Cano Menoni, presentato al 61° Festival dei Popoli di Firenze, visibile su Mymovies.it, è un documentario sulle radici perdute e immaginate.

Nel documentario Alicia Cano Menoni intraprende un viaggio in Italia per scoprire le proprie radici, partendo dai ricordi di suo nonno, che non ha mai visto il proprio luogo di origine al confine tra Toscana e Liguria, ma che è in grado di descriverne ogni angolo basandosi sulle memorie e gli aneddoti tramandati dalle generazioni precedenti che da là si mossero per il porto di Genova e poi ancora per Montevideo mettendo un oceano tra le due vite, quella sedentaria del paesello toscano e quella movimentata della metropoli latino-americana. E così, tornando nei luoghi di origine, Alicia Cano Menoni dà corpo e immagine a ciò che era solo memoria traslata: la grotta e la cascata della Colombara, le stradine che diventano greti d'acqua, i boschi ricchi di funghi, la visione del mare, oltre le vette delle montagne, gli agnelli al pascolo, il prodotto principale del comune di Zeri, rinomato in tutta Italia.

Nel filmato si vedono i pochi abitanti camminare tra i castagni, lungo sentieri solcati migliaia di volte, portare le bestie al pascolo, parlare tra loro. C'è una certa unità di tempo tra chi è rimasto e chi è partito, chi è andato e chi è tornato. Già in passato Alicia Cano Menoni aveva dedicato il documentario "Il sapore del maggio" al paese delle sue radici portando con sé le fotografie degli avi, ricostruendo legami persi e ritrovati. Un coro di voci che parla delle generazioni passate, di chi non c'è più, di chi è sepolto nel cimitero del paese, che si raggiunge percorrendo un sentiero di 400 scalini, oppure di chi non è riuscito a depositare i propri resti in quell'angolo di pace, incastonato tra le montagne della Lunigiana. L'abbandono e l'emigrazione rappresentano ferite importanti in questo paese di Liguri Apuani dediti alla terra. Ma inesorabile il bosco avanza, si perdono le piane coltivate e pure i sentieri. "Dall'altra parte dell'oceano – ha spiegato la regista – mio nonno a 102 anni dedica le sue mattine ad abitare quella stessa terra che non ha mai calpestato, ma che conosce come il palmo della sua mano, attraverso storie ereditate dai suoi avi che hanno costruito un paesaggio mentale fiabesco. La cornice di quella favola ha riempito le domeniche della mia infanzia".  Sembra quasi che queste storie rivivano ora nel filmato di Alicia Cano Menoni lungo la parte occidentale della valle del Rossano, incastonato nella valle del torrente Teglia.

Isolato dal resto dei paesi della valle, Bosco nacque intorno a cascine e capanne usate anticamente per la transumanza. Il paese è formato da una piccola piazza, dove si alza la chiesa di San Pellegrino e dalla via principale su cui si affacciano le case in pietra, molte di esse spopolate e in rovina.

Negli ottantadue minuti del film la telecamera si solleva per inquadrare Bosco dall'alto: si vedono i castagni incombere sulle case nel desiderio di cancellare ogni traccia umana. Eppure, gli abitanti di Bosco di Rossano resistono nel loro isolamento, reso ancora più evidente dalla chiusura per frana della strada che conduce ai Casoni, in Liguria. Ecco comparire una pastora, un cacciatore, un vecchio partigiano, un barman in pensione, una guaritrice, un "immigrato" romano e una ferroviera, e poi tanti, tantissimi animali – galline, caprette, pecore, lucertole, gatti – diventati i padroni indiscussi di strade e abitazioni dove, in un tempo che sembra lontanissimo, gli adulti danzavano vestiti a festa mentre i bambini giocavano a rincorrersi.

Oramai sono più le tombe dei cittadini del borgo, eppure non manca mai un fiore in primavera ed estate e d'inverno si va sin lassù a spalare la neve per ritrovare un volto di un parente che non c'è più tra le 639 lapidi. Nelle sue lunghe permanenze nel paese della Lunigiana la regista ha finito per diventare essa stessa memoria visiva poiché il film raccoglie ben tredici anni di riprese, condotto fra linguaggio del reale e narrazione immaginifica. A cominciare dalle testimonianze del nonno Orlando Menoni che non potrà mai raggiungere il pozzo delle sue fantasie. Quando la regista raccoglie il suo racconto, a 102 anni, si presenta una realtà plasmata dall'immaginazione e dalla nostalgia che si scontra immancabilmente con quella documentata dalla telecamera poiché la vita reale non è mai sogno. La pellicola è una coproduzione italo-uruguaiana, già selezionata nella sezione "Cannes Docs" all'ultimo festival di Cannes. La regista è già autrice di "The Bella Vista" (2012, storia di un locale diventato prima bordello e poi luogo di preghiera) e " Madness on air" (2018, scritto e diretto con Leticia Cuba e ambientato in un ospedale psichiatrico di Montevideo). Ora la scoperta delle sue radici in una sorta di strenua difesa di ciò che il tempo cancellerà.

"George Did Huberman, nel libro 'La imagen Mariposa', - racconta la regista - sostiene che l'uomo commette l'errore di credere che ciò che compare lo fa per rimanere, e ciò che scompare lo fa per sempre. Invece, ciò che compare lo fa per sparire, e ciò che sparisce non scompare mai del tutto. Con questo film, ho inteso far vedere proprio questo movimento. Un film emozionale e poetico, che racconta il paesaggio di Bosco con l'illusione di trattenerlo nel tempo. E in questo viaggio, dalla mano dei protagonisti, impariamo a dire addio, perché alla fine niente va mai via del tutto".