di Franco Manzitti

Se si tirano fuori dai cassetti le foto un po' ingiallite delle storiche assemblee dell'Associazione Industriali, in quella sede indimenticabile di via Garibaldi 6, dove ora c'è il Circolo Tunnel, oggi sempre più deserto, sotto gli affreschi di Bernardo Strozzi, si vedono seduti quasi uno sull'altro decine di grandi imprenditori, esponenti di vere dinastie, una specie di Ghota industriale e non solo. Allora quella riunita per ascoltare la relazione del presidente era la terza Associazione Industriali d'Italia, dopo Milano e Torino, per numero di iscritti e livello di contributi pagati dai soci.

A tanta potenza, a tanto lignaggio di iscritti corrispondeva anche una centralità nella vita di una città dove il cuore era appunto industrial portuale, in corrispondenza di un'economia che girava intorno a un grande scalo allora pubblico, il più importante del Mediterraneo, alle industrie Iri, ereditate in parte iniziale dal ceppo privato degli Ansaldo-Bombrini-Perrone, ma che aveva una solida base nelle aziende private.

Quelle foto sono certo un po' ingiallite nel trascorrere di un tempo lungo decenni, che ha trasformato la città e la sua economia, senza perdere mai, però, la struttura industriale e portuale, anche dopo il cataclisma che ha trasformato le aziende a Partecipazione Statale, con rivoluzioni spesso definitive, di chiusure (tante), resurrezioni (poche), mutazioni continue.

Ma l'industria, la vocazione inventata per Genova a metà dell'Ottocento da quel genio del conte Camillo Benso di Cavour, prima ministro delle Finanze del regno di Sardegna poi artefice dell'Unità d'Italia, è sempre rimasta centrale nello sviluppo.

E gli uomini che hanno guidato quell'Associazione, nei tempi moderni e ora post moderni, fino ai cambiamenti epocali del terzo Millennio, hanno sempre rispettato quel ruolo industriale e, quindi, quella vocazione della propria influente, influentissima categoria.

Le vicende che hanno visto gli industriali, la loro Associazione, che ora si chiama Confindustria Genova, sono state epocali. Basta pensare a cosa deve essere stato il passaggio dall'economia di guerra a quella della ricostruzione postbellica, dopo il secondo conflitto, per ricordare come in quelle nobili stanze di via Garibaldi si sia consumato un ruolo veramente apicale, di grande protagonismo della città.

Tra le macerie dei bombardamenti, con il porto minato dai nazisti in fuga, con le aziende da ricostruire e i vecchi imperi industriali da smantellare e riformare, i leaders imprenditoriali si alzavano in punta di piedi per dare una spinta maggiore alla ripresa, alla ricostruzione.

A fianco della politica ricomposta nei partiti, che si alternavano alla guida della città, anche confliggendo pesantemente_ il Pci rosso fuoco dell'ideologia marxista, la DC bianca, ultracattolica e quarantottesca, il PSI ago di una bilancia che si spostava fino alla nascita, proprio a Genova, del primo centro sinistra italiano_ c'erano gli imprenditori.

La politica dei muri contro muri disegnava la nuova Genova che sarebbe così cambiata negli anni Cinquanta Sessanta, Settanta, Ottanta e oltre ancor di più e gli imprenditori erano centrali in quello schema, spesso in confronti e discussioni sfociate anche in vertenze "sanguinose" con la città dei duecentomila operai e del sindacato più forte d'Italia.

Ma c'erano sempre e giocavano un ruolo da veri protagonisti. Non è un caso che un po' semplicisticamente il potere di quegli anni fosse riassunto nel famoso triangolo Taviani-Siri-Angelo Costa. 

Il potente ministro democristiano che governava a Roma, il cardinale-principe, quasi papa e Angelo Costa, il leader nazionale di Confindustria, genovese, fino al 1976 della sua morte ago della bilancia del ruolo privato, in quella grande città, appunto pubblico- privata.

Ecco, se si vuole raccontare in quale misura il ruolo imprenditoriale a Genova sia stato sempre forte e centrale, si deve partire da quel nome, da quella famiglia, da quella dinastia, non certo l'unica, ma baricentrica negli equilibri intorno ai quali si componeva il potere genovese.

Lì si innesta quello che sarà nei decenni a seguire la tradizione forte, il ruolo dell'imprenditoria privata, che aveva il suo asse portante nell'Associazione Industriali, certo anche nella Camera di Commercio e nelle altre categorie produttive.

Questa eredità di impegno, di ruolo, non era mai stata dimenticata, abbandonata, per non dire tradita dalle generazioni che hanno seguito gli Angelo Costa e gli altri grandi di via Garibaldi e dintorni.

Hanno tenuto la barra dritta, pensando alle loro aziende, allo loro Associazione, ma anche alla città, al suo sviluppo imprenditori-presidenti come Piero Campanella, Benito Vaccari, magari pagando in proprio i prezzi durissimi delle trasformazioni economiche, Giamba Parodi, Felice Schiavetti, Attilio Oliva, Stefano Zara e tanti altri. Nessuno si era mai tirato indietro: la città ha avuto anche la loro spinta per vivere i tempi importanti del Triangolo Industriale, attraverso la costruzione delle Infrastrutture e delle altre grandi opere, a partire dall'aeroporto Cristoforo Colombo e del nuovo porto di Voltri.

Ci sono state figure più discrete o protagonisti veri e propri, come Riccardo Garrone, che per due volte ha cavalcato quasi con impeto il ruolo di leader confindustriale, arrivando perfino a anticipare il futuro, quando propose la Disneyland al posto dell'Italsider, il famoso Topolino nell'altoforno di facile ironie dell'epoca, o quando propose la trasformazione della Valpolcevera con la sua "Viva Genova" o quando scosse dalle fondamenta la città politica, sindacale con i suoi "Stati generali". 

Era Garrone, il petroliere, ma era anche il presidente degli industriali che sfidava la città, la politica, il suo porto. Come quando propose la sua rosa di candidati per sbloccare la politica impantanata nella scelta del presidente del Cap (l'allora Autorità portuale di oggi) dopo il regno di 14 anni del professore di filosofia, il socialista Giuseppe Dagnino.

Erano gli industriali a proporre un Comitato Pubblici-Privati per gestire anche in favore della città il declino Iri. Erano gli industriali, alla fine degli anni Ottanta, a rilanciare il Terzo Valico ferroviario, che Genova attendeva da quasi un secolo, con un collegamento salvifico con Milano, fondando il Cociv, che sta per darci questo fondamentale opera, destinata a rompere l'isolamento della Liguria. Erano gli industriali a mediare tra la città e Emilio Riva, il nuovo padrone dell'acciaio dell'Ilva, un privato dopo i decenni IRI.

Si potrebbe continuare con gli esempi e con la storia dei personaggi, che si sono succeduti nei decenni tra quella via Garibaldi arredata con le sedie stile Luigi XVI, la villetta in via Felice Romani e ora il grattacielo Sip di via san Vincenzo. 

Si potrebbe raccontare a lungo la storia di quel potere privato, spesso in conflitto, ma più spesso in dialogo, con quello politico romano di presidenti e ministri e con quello genovese di sindaci e assessori, deputati e senatori e ovviamente di presidenti della Regione e del Porto. Che li hanno sempre visti come interlocutori fondamentali e ancora se lo aspettano.

Nel grande affresco della città mutante, tra grandi declini e grandi trasformazioni.

Non si potrà mai negare che questa storia è sempre stata vissuta su quel fronte con la vocazione anche al servizio di Genova. E ci si chiede perché non dovrebbe essere così anche oggi, che quella foto ingiallita può essere sostituita da istantanee tanto diverse, a partire dalla composizione stessa della Associazione, diventata pubblica da tempo, proprio per seguire un cambiamento dell'economia tanto imponente e tanto importante per l'Italia, ma anche per Genova, sempre una capitale industriale. O no?