Fa acqua da tutte la parti. Mega-opera inaugurata nel 2019 dopo trentacinque anni di lavoro, il Mose autodenuncia i suoi malanni. È già marcio. Colpa di chi? Dei materiali scadenti. Il Mose è divorato dalla corrosione. Lo spreco infinito di Venezia: le dighe mobili sistemate alla bocca del Porto di Lido per difendere la città dall'acqua alta. L'opera è costata finora sei miliardi di euro.

Gli esperti del Mit hanno denunciato l'attuale cattivo stato del Mose. Inascoltati, si sono dimessi. "Non si è fatto nulla per ovviare alla precoce crisi della struttura. Il rischio è quantificabile e racchiudibile in una sola parola: corrosione".

Inaugurata tra squilli di tromba o osanna convinti nel luglio scorso, alla presenza di tutti i burocrati del governo e del premier Giuseppe Conte, la più grande opera pubblica italiana soffre di un male oscuro. La corrosione avanza nelle viscere del Mose, quindici metri sotto il livello del mare. Ossiderazione, ruggine, infiltrazioni d'acqua salata minacciano le dighe mobili nel loro punto più delicato e vulnerabile: le cerniere.

Il Mose ne prevede 156, di cerniere, due per ogni paratoia nelle tre bocche di Porto di Lido, Chioggia, Malamocco. Assicurano la comunicazione della Laguna col mare. Ancorate sul fondo della Laguna ai cassoni in calcestruzzo, comandano il movimento delle dighe, che si alzano quando sono riempite di aria e si abbassano con dentro l'acqua. Progettato negli anni Ottanta, l'avvio dei lavori nel 2003, il sistema risulta non ancora concluso. E tra una cosa e l'altra l'esplosione dello scandalo nel 2014: gli arresti per corruzione, i ritardi e gli sprechi del Consorzio Venezia Nuova.

Il concessionario monopolista nominato per legge nel 1984 ha scoperto le falle del sistema. Che poi sono quelle del Mose. Opere malfatte, buchi nelle tubature, conche di navigazione sbagliate danneggiate prima della mareggiata. E chi più ne ha, più ne metta: errori progettuali, incuria, manutenzione dimenticata. Della corrosione si sapeva da tempo. Il magazine l'Espresso aveva cominciato a denunciarla nel 2016. Apriti cielo. Azionista del Consorzio

Venezia Nuova, la Mantovani sporse denuncia. Il settimanale l'Espresso assolto "per aver correttamente esercitato il diritto di cronaca".

Problemi mai risolti. Nemmeno con la nomina in qualità di commissario straordinario di Elisabetta Spina, ex dirigente del Demanio, nel 2019. Niente da fare, la situazione è peggiorata. In autunno il Mose è stato alzato venti volte, in presenza di acqua alta. Scene di giubilo, in tripudi da stadio. Purtroppo il male che affligge la struttura sott'acqua non cessa la sua avanzata. La corrosione rappresenta una vera e propria emergenza.

Bisogna fare i complimenti - è cosa onesta e giusta - ai due ingegneri metallurgici esperti in corrosione. Susanna Raimondo, romana, consulente dell'Ue, e Gian Mario Paolucci, padovano, uno dei massimi esperti italiani in corrosione. Consulenti del ministero delle Infrastrutture, si sono dimessi dall'incarico. Hanno scritto una durissima lettera di denuncia. "La corrosione avanza e non si fa nulla. Noi ce ne andiamo".

Avevano evidenziato le criticità del Mose già nel 2016. "è tutto depositato, chiedete l'accesso agli atti del Comitato Tecnico del Provveditorato. Leggete bene. Ci sono parole e silenzi. I silenzi vanno letti più delle parole. Gli errori progettuali sono tanti. Robe da far tremare le vene e i polsi". Le paratoie, assicura l'ingegnere Ramundo, non sono in acciaio Superdupplex, "ma di acciaio al carbonio che si ossida all'aria". Per non parlare del sistema cerniera del Mose. Hanno cinque anni di garanzia contro la corrosione. "Dopo quel periodo, la protezione offerta dagli strati di verniciatura si esaurisce. Diventa quindi possibile la permeazione di agenti corrosivi".

La situazione a oggi resta drammatica. L'intero sistema andrebbe rivisto integralmente. È previsto un bando nel bando di gara europeo da cinquantaquattro e trentaquattro milioni di euro, ma è fermo da un anno e mezzo. "perché non si permette alle aziende di effettuare i sopralluoghi di legge". Intanto, la soluzione salina continua ad agire indisturbata su tutti i componenti e sulle strutture delle gallerie. Il meccanismo è lo stesso di quello che mette a rischio anche i mosaici della Basilica di San Marco.

Esperti e dimissionari, i due ingegneri padroni della materia stimano una vita residua "per gli steli della bocca di Treporti solo trenta anni, a fronte dei cento garantiti dal progetto". Ma adesso – spiega l'ingegnere Ramundo – è tardi per rimediare. "Tutte le parti sono danneggiate. Ho solo domande, non vedo certezze. Più che dimettermi, che dovevo fare?".

Semplice la spiegazione: i tempi della corrosione non sono quelli della burocrazia. E dove domina l'incuria, prima o poi qualcosa di spiacevole può accadere. Ponte Morandi docet.

di Franco Esposito