Di STEFANO GHIONNI

C'erano una volta i 5 Stelle. L'addio, ormai prossimo, a Rousseau, uno dei capisaldi storici del MoVimento, segna una svolta epocale nella storia dei grillini, ormai sempre più distanti (e distinti) dalla piattaforma voluta, a suo tempo, dal defunto guru Gianroberto Casaleggio, per “regolare” la vita del MoVimento. Uno spazio virtuale, quello voluto dal padre di Davide, che ha un po' scandito, tra scelte obbligatorie, voti online e comunicati vari, l'esistenza stessa della galassia pentastellata. Sembra, infatti, insanabile la frattura fra il M5S e l'associazione, dopo l'ultimatum di due giorni fa da parte di quest'ultima con l'invito sanare, entro pochi giorni, tutte le pendenze economiche sospese. Il capo politico del Movimento, Vito Crimi, ha definito "infondate" le "pretese economiche" di Rousseau che comprendono anche le quote non versate dai fuoriusciti indicando, ai parlamentari, le modifiche ai meccanismi di rendicontazione e restituzione. “Fino al 31 marzo vanno versati i 300 euro a Rousseau. Invito tutti a farlo" perché "da un punto di vista di immagine, nessuno potrà contestare che qualcuno sia stato inadempiente rispetto agli impegni presi" ha spiegato il reggente del M5S, parlando in assemblea. Sulle quote da versare all'associazione a partire da aprile, invece, non se ne parla. E’ stop. Mentre una parte dei 2.500 euro di restituzione fissa andrà direttamente al MoVimento per renderlo autonomo organizzativamente e "sostenere le spese per una piattaforma tecnologica di democrazia diretta". In pratica, è il senso della presa di posizione di Crimi, se proprio Casaleggio vuole andarsene per i fatti suoi, faccia pure. Vorrà dire che i grillini si faranno una nuova piattaforma tutta loro. Ma non è finita qui. C'è anche un altro “taglio netto” col passato che pure rischia di sparigliare le carte nel Movimento. Il limite del doppio mandato, sostenuto con forza, anche recentemente, dal leader carismatico del M5S Beppe Grillo. Si tratta di uno dei cavalli di battaglia storici del MoVimento, che fissa l'esperienza legislativa degli eletti in due sole tornate. Questo significa, per capirci, che big del calibro di Luigi Di Maio e Roberto Fico, alle prossime elezioni non potrebbero più ricandidarsi, vedendosi così costretti a tornare alla vita di un tempo. Più facile a dirsi che a farsi. Da qui le pressioni interne al Movimento, per spostare l'asticella oltre il limite del vecchio doppio mandato, magari estendendolo al terzo, così da offrire la possibilità agli eletti, di concorrere per un terzo giro, con buona pace dei proclami di guerra anti-casta della prima ora. Insomma: un’incongruenza che decisamente non paga e che rischia di snaturare non poco lo spirito stesso di un Movimento nato, dieci anni e passa fa, con i rumorosi “vaffa day” nelle piazze, giunto in Parlamento sotto l'egida della democrazia “virtuale” dell’uno vale uno, per aprirlo come una scatola di tonno ed oggi ritrovatosi, di punto in bianco, a litigare per un mandato in quasi come i vecchi partiti della tanto deprecata Prima Repubblica.