Non so quanti lo ricorderanno, ma – credo nel 1987 – fu tenuto in Italia un referendum abrogativo del ministero dell’Agricoltura, che vide un risultato plebiscitario: circa i due terzi degli italiani votò a favore della sua abolizione, forse perché ritenuto inutile. Il ministero, però, non fu per nulla abolito: gli fu soltanto cambiato il nome e si chiamò ministero per le Politiche agricole. Bello, no? Una presa in giro universale ai danni degli italiani? Certamente. Aggiungerei che essa mette in luce, senza neppure che i suoi autori se ne siano avveduti, una sorta di operazione improntata a ciò che in filosofia si chiamerebbe “nominalismo assoluto”, cioè l’attribuire una vera ed autonoma consistenza soltanto ai nomi delle cose e non alle cose in sé, le quali invece non esistono affatto. Il padre filosofico di questa prospettiva viene tradizionalmente considerato Roscellino di Compiègne, monaco vissuto tra la fine dell’undicesimo secolo e l’inizio del dodicesimo, mentre poi essa è stata ripresa anche successivamente, sia pure in chiave moderata (per esempio da David Hume). Ebbene questa idea, surreale, secondo cui le cose non esistono, perché ad esistere sono soltanto i nomi che le designano, pare oggi sia propria anche della multinazionale farmaceutica che ha prodotto il vaccino Astrazeneca, il quale si chiamerà Vaxzevria. Non credo affatto che questi signori sappiano di essere seguaci di Roscellino, del quale probabilmente ignorano perfino il nome, ma l’effetto che si propongono è certamente legato a quella prospettazione nominalistica della realtà. Insomma, costoro ritengono che cambiando il nome al vaccino – al pari di coloro che cambiarono il nome del ministero dell’Agricoltura – le cose possano ritenersi cambiate. Al punto che i soggetti vaccinandi non avranno più alcun timore a farsi vaccinare, timore che invece potevano avere quando a campeggiare era il nome vecchio, e per alcuni perfino temibile, di Astrazeneca. Si tratta, come si capisce subito, di una operazione di carattere commerciale, simile a tante altre, destinata ad attrarre il pubblico dei consumatori, ma con una differenza non di poco conto. La differenza sta nel fatto che un vaccino non è un prodotto di consumo, come un detersivo o un gelato. Perciò non pare possa essere trattato in identico modo ai fini della commercializzazione, attraverso espedienti come quello messo in opera, nella speranza che gli effetti negativi, che condussero poco tempo fa addirittura alla sospensione delle vaccinazioni, possano essere dimenticati dai consumatori. I pazienti non sono consumatori e neppure sono scemi. Il vaccino non è un detersivo e neppure un gelato. Farsi seguaci di Roscellino non è un punto d’onore. Neppure se in modo inconsapevole.