di STEFANO CASINI

Nel 1870 il numero degli italiani in Uruguay era compreso tra sessanta e settantamila e in quegli anni, praticamente erano tutti nati in Italia. Non solo trovavamo italiani nella capitale ma anche all'interno del paese: a Mercedes circa 6.000 erano impegnati nel commercio, a Paysandú circa 2.000 e si dedicavano al cabotaggio navale e all'agricoltura, mentre a Salto erano la metà su una popolazione totale di novemila persone. In linea generale i napoletani facevano lavori piú rustici, adattandosi allo stile di vita del paese, mentre, come osservava il viceconsole dell'epoca, Luigi Petich, “i genovesi affermavano il loro istinto mercantile e la loro vocazione marinara".

Tra il 1870 e il 1872, un folto gruppo di italiani provocarono forti danni durante la denominata Rivoluzione delle Lance che provocarono momenti di tensione diplomatica tra l'Italia e l'Uruguay. A quel tempo il Ministro italiano Della Croce dichiaró «Gli stranieri sono gli unici che vengono a concimare le loro terre, gli unici che soffrono più di altri delle continue guerre civili e della costante minaccia che, solo per opera di nostri nazionali, purtroppo, colpiscono queste regioni». Nel 1873, la firma di un accordo diplomatico tra le due parti, rimediò la situazione ed i lavoratori italiani recuperarono il loro rispetto.

Per via delle turbolenze economiche e politiche in tutta la regione, ci fu un forte calo di arrivi di immigrati italiani. Molti nuovi arrivati preferirono recarsi nelle zone rurali dei paesi limitrofi e anche alcuni già insediati in Uruguay si spostarono in territori con maggiori possibilità, come, ad esempio, il caso degli italiani che fondarono la colonia Alessandra (Santa Fe) nel 1871, provenienti dalla Banda Oriental. Secondo Fernando Devoto: “L'uso dell'Uruguay come ponte tra l'Italia e l'Argentina da parte degli immigrati fu consolidato a partire dal 1876 con l'approvazione della “Ley Avellaneda”, una legge argentina che regolava le migrazioni su larga scala. Anche se ai transatlantici “Matteo Bruzzo", proveniente da Genova con 1.500 passeggeri e il "Nord America" si negó lo sbarco a causa di alcuni casi di colera sulle navi, nel 1885 arrivarono in Uruguay quasi 9.000 italiani.

Gli italiani rappresentavano tra il 20% e il 30% della popolazione totale di Montevideo. Fu in questo decennio che ebbe luogo il boom dell'immigrazione italiana e furono fatti i primi tentativi da parte dei due paesi per incoraggiare l'arrivo di immigrati. Si firmó il denominato "Contratto Taddei", per il trasferimento nel Paese tra 2 e 3.000 famiglie italiane, principalmente contadini e lavoratori a giornata di origine lombarda, anche se molti degli arrivati possedevano altri mestieri. Molti di loro furono rimandati in Italia dal governo uruguaiano. Questa legge discriminava secondo le regioni, favorendo gli italiani del nord ed escludendo i meridionali. In ogni caso, il flusso di emigranti italiani continuó senza sosta con lo stimolo dell'arrivo di italiani attraverso annunci consolari.

Il maggior afflusso di italiani in Uruguay fu tra il 1880 e il 1890, quando arrivò il 60% del totale. Arrivarono a Montevideo tra il 1880 e il 1889 63.000 italiani. Solo tra il 1887 e il 1889 ne arrivarono più di 45.000 e un censimento del 1889 indicó che metà della popolazione di Montevideo era nata in Uruguay e gli italiani erano quasi la metà della popolazione straniera. Questa presenza di europei in generale e di italiani in particolare dava al popolo uruguaiano quell’aspetto caratteristico che ha da sempre, ossia un paese di immigrati: l'antropologo brasiliano Darcy Ribeiro definí gli uruguaiani come un «popolo trapiantato, essendo discendenti delle navi». Nel 1890 fu istituita la «Legge sull'immigrazione e colonizzazione», che favoriva gli immigrati. A proposito di questa legge, lo scrittore uruguaiano Eduardo Acevedo ha indicato nel suo libro “Anales Histórico del Uruguay”, attraverso una frase emblematica, ció che significa per questo paese la comunità italiana: “senza gli italiani l’Uruguay non potrebbe neanche esistere”.

Proprio nel 1890 ci fu una crisi economica che avrebbe colpito l'ingresso degli immigrati e in quell’anno, il paese adottò misure restrittive nei confronti dell'immigrazione, come l'eliminazione del Commissario generale per l'immigrazione, occupato con alloggio, cibo e posti di lavoro per i nuovi arrivati. Queste condizioni provocarono un altro fenomeno. Gli italiani cominciarono a trasferirsi in Argentina, specialmente a Buenos Aires, ma il flusso non si abbassó poi di tanto e gli immigrati continuarono ad arrivare durante l'ultimo decennio del secolo, anche se in minor proporzione. Tra il 1865 e il 1875, alcune compagnie di navigazione italiane non fecero più scalo a Montevideo prima di raggiungere Buenos Aires.

Tra gli arrivi, gli immigrati campani erano i più numerosi. Un console dell'epoca osservava che "i figli degli italiani si preoccupano di essere uruguaiani e talvolta anche nemici della madrepatria. Se le cose continuano così, si presume che col tempo questa terra popolata da sangue italiano avrà meno sudditi del Regno di quanto avrebbe dovuto. Bisognerebbe cercare di prevenire questo fenomeno a tutti i costi.” Fu cosí che, nel periodo dal 1880 al 1916 arrivarono in Uruguay 153.554 immigrati, di cui 66.992 (43,63%) italiani e 62.466 (40,68%) spagnoli.