Avolte una parola, una música o un odore muove qualche tassello nella nostra mente, aprendola a ricordi lontani. Cosí mi é successo recentemente con un amico che ha fatto riferimento a “Portici”. Dovete sapere che Portici é un paesino vicino Napoli verso le falde del Vesuvio, oggi un tutt'uno con il capoluogo partenopeo, ma decenni addietro era un borgo periferico vicino a Ercolano. Il primo ricordo che mi affiora é quando ai 16 anni andai con la mia squadra napoletana a Portici, per sfidare la squadra locale piú forte che la nostra. Io ero portiere e quell’evento fu la migliore partita della mia vita, conclusa con un pareggio, che ebbe per me il sapore della vittoria. Ma appare subito un secondo ricordo: il professore di Storia, che ci raccontava che la prima ferrovia in Italia fu quella che uní la cittá di Napoli con Portici...

Fu nel 1839, quando Napoli era la cittá piú glamorosa della penisola, a capo del Regno delle Due Sicilie, e centro di arti, pensiero e modernitá. Fu commissionata da Re Ferdinando II e la linea venne ufficialmente inaugurata il 3 ottobre 1839. Era addirittura a doppio binario e aveva la lunghezza di 7,25 chilometri. Immaginate che la prima tratta ferroviaria nel mondo fu inaugurata in Inghilterra nel 1825 e quattordici anni dopo il prodigio tecnologico dell'epoca approdó nel nostro paese. Torno a leggere incuriosito la storia di quel glorioso momento della mia cittá. In un libro di Renzo Pocaterra sulla storia dei treni, si ricorda che la convenzione per la costruzione della tratta venne firmata il 19 giugno 1836. Con essa si concedeva all'ingegnere Armando Giuseppe Bayard de la Vingtrie una concessione di quattro anni per la costruzione della linea ferroviaria. Bayard era un celebre progettista delle prime ferrovie e anche costruttore di locomotrici: tra queste é nota la Locomotiva Bayard, che da lui prese il nome.

Ma torniamo al 3 ottobre 1839, per segnalare che l'inaugurazione avvenne con grande solennità nel rispetto di un programma che prevedeva la partenza da Portici verso Napoli. Quel primo convoglio era composto da una locomotiva a vapore di costruzione inglese Longridge, battezzata "Vesuvio", e da otto vagoni. Il re Ferdinando II dormí la sera prima alla villa del Carrione al Granatello di Portici, dove era stato approntato il padiglione reale decorato all'occorrenza con accanto un altare. Verso le ore undici il re ricevette l'ingegner Bayard e la squadra di ingegneri prendendo, poi posto sul convoglio inaugurale per tornare a Napoli. I vari discorsi di circostanza furono conclusi dal re Ferdinando II, il quale, in francese, espresse l'augurio di veder realizzata la ferrovia fino al mare Adriatico e a mezzogiorno ordinò la partenza davanti alle autorità riunite..

La storia racconta che il convoglio ferroviario portava nelle vetture 48 personalità, una rappresentanza militare costituita da 60 ufficiali, 30 fanti, 30 artiglieri e 60 marinai. Nell'ultima vettura prese posto la banda della guardia reale. Il percorso venne compiuto in nove minuti e mezzo tra ali di gente stupita e festante. Fin qui il riferimento storico a Portici e torniamo a scuola. Il professore ci raccontava poi del Risorgimento, lo sbarco dei Mille, l’Unitá d'Italia e via di seguito. Non so como si insegni oggi la storia del secolo XIX italiano nelle scuole e licei del Meridione, ma a quei tempi tutto era “rose e fiori”. Eroico lo sbarco dei Mille, emotivo l'incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II a Teano e via di seguito fino a Roma, Capitale d’Italia. Eppure - proprio nel ricordo di Portici e di quella prima tratta ferroviaria - ho un sapore amaro in bocca.

Cosa fu che condusse il Meridione - e in particolare Napoli - da “primo mondo” (come si direbbe oggi) nel 1839 a “terzo mondo”? Perché glorificare tanto quei fatti storici del Risorgimento che contribuirono non poco a relegare il Sud alle miserie di un mondo agrario dominato dalle baronie. La tanto celebrata Unitá d'Italia modificó il panorama economico e sociale del nostro paese e in queste trasformazioni fu proprio il Meridione a uscirne perdente e il Nord a diventare il ricco polo industriale del nostro paese. Colpa di chi? Non so, non giudico. Ma il ricordo di quel treno mi ha portato a riflettere sul divario regionale, ancora esistente, tra Nord e Sud, che fu favorito indubbiamente dalle politiche dei primi governi nazionali. Portici ci ricorda come avanza la storia.

JUAN RASO