La grande ammuina cominciava nel primo pomeriggio di ogni 11 aprile. Maria, la nostra “pacchiana" (cosí la chiamava mio nonno quando era di buon umore… se aveva perso a carte invece - e succedeva spesso - usava il termine “cafona”) cominciava a sistemare gli ingredienti sul grande tavolo di marmo della cucina. Piú che una cameriera Maria per noi ragazzi era la nostra amica, la confidente, la sorella maggiore… Era un donnone: alta, prosperosa e…pelosa (sulle gambe, sulle braccia, sulle labbra…) figlia della cameriera di mia nonna rimasta a vivere con noi perché i suoi parenti di Sant’Agata dei Goti piccolo centro del beneventano erano tutti morti.

11 aprile, la vigilia… il giorno prima del compleanno di mio padre, nato il 12 aprile del 1917, cominciava la preparazione del suo piatto preferito: la genovese… Il rito - perché era veramente diventato una sorta di rito - si perpetrava ogni anno. Gli ingredienti, sempre gli stessi: il pezzo di carne (la Gallinella, vicino allo stinco, nella parte inferiore della gamba, dove le masse muscolari abbracciano la faccia posteriore della tibia); il gambo del prosciutto, il lardo, il sedano e le carote, pochi pomodorini, le cipolle, sale, pepe, un bicchiere di vino bianco secco, mezzo bicchiere di latte e per finire… il segreto di Maria, un bicchierino di quell'Armagnac che mio nonno aveva relegato gelosamente sull’ultimo scaffale della libreria, accanto alla vetrinetta che custodiva la diagonale dell’alta uniforme con elmo, sciabola, alamari e cinturone.

Maria tagliava la carne a pezzi non grandi, il prosciutto a tocchetti e li metteva insieme a cuocere a fuoco lento in un pentolone nel quale aveva precedentemente versato abbondante olio extravergine: la faceva rosolare. Dopo un quarto d’ora, toglieva la carne e nella stessa pentola aggiungeva ancora un po’ d’olio con cipolle, carote e sedano e le faceva cuocere con il coperchio chiuso per pochi minuti. A quel punto metteva il bicchiere di vino bianco, poi rimetteva carne prosciutto e lardo con alcuni pomodorini schiacciati; aggiustava di sale, aggiungeva ancora un po’ di vino bianco e lasciava cuocere a fuoco basso per almeno un’ora. Scoperchiava, aggiungeva mezzo bicchiere di latte, richiudeva e girava, girava…per almeno 3 ore. Poi spegneva il fuoco e riprendeva a far cuocere il tutto il giorno dopo: la festa di papà…

Noi figli, con mamma preparavamo di sera gli scatoli con in regali. Libri, libri, qualche volta una cravatta, un cappello, il suo dopobarba preferito, una sciarpa… Il 12 aprile appariva finalmente a tavola la “genovese"di Maria con la frase di circostanza di papà: "Che si mangia oggi???". E faceva onore al piatto su cui spruzzava parmigiano a volontá, doppiandolo a pranzo e mangiandolo ancora a cena... Cosí é stato per anni e per tutti diventó la genovese di papá. Nonostante l'avversione di mio nonno per questo piatto. Perché mio padre e mio nonno non hanno mai avuto un gran feeling. E non solo politicamente… Mio nonno fascista, gerarca anche, mio padre socialista e partigiano… A questo si aggiungeva anche il continuo diverbio sulla cucina che si estrinsecava nel primo piatto per eccellenza: mio nonno andava pazzo per il ragù napoletano, mio padre per la “genovese”.

Due sughi diametralmente opposti ma che hanno un fattore comune: devono cuocere per ore e ore… Pietanze soprattutto domenicali ma che sul nostro tavolo comparivano di rado perché papà, tifoso del Napoli, ed io con lui, andavano presto allo stadio e seguivamo di domenica la squadra anche lontano da Napoli, per cui mangiavamo a ristorante con gli amici di papà ogni domenica, anche quando giocavano al San Paolo… Mangiavamo la "genovese", quindi, di rado... ma sicuramente il giorno del suo compleanno. Tutti gli anni... Anche dopo la morte di Maria non l'abbiamo mai fatta mancare il 12 aprile. Andavamo al Sarago a piazza Sannazzaro o da Mimí alla Ferrovia… Avvisavamo il proprietario del ristorante scelto il giorno prima... e sorridendo, a tavola, mio padre ci prendeva sempre in giro chiedendo: ”Che si mangia oggi????”

Nel 2009 l’ultima “genovese” che ha mangiato mio padre. Non ce la faceva a uscire e allora ho cucinato io, cercando di ripetere ingredienti e tempo di cottura che usava Maria. Mio padre a tavola mi sorrise e sicuramente mentendo disse: ”É piú buona di quella che faceva Maria…chi ha cucinato???? Dal 2009 ogni 11 aprile comincio a cuocere la “genovese”. Lo farò anche stamattina, domenica. E come c'insegnó Maria la metterò a “riposare" per tutta la notte, poi, domattina, aggiungeró il bicchierino di Armagnac, negli ultimi 15 minuti gireró e gireró il mestolo nel pentolone, prima di servirla in tavola, la “genovese di papá"...

MIMMO PORPIGLIA