Mia madre da bambina si ammalò gravemente di tifo con serie complicazioni che stavano per portarla a esiti infausti. Allora non c'erano gli antibiotici. Mi raccontava che la gravità della malattia fu tale che lei, che aveva già iniziato la scuola elementare e sapeva leggere e scrivere prima della malattia, a guarigione avvenuta dovette iniziare daccapo con l'abecedario perchè aveva dimenticato tutto. La malattia le aveva portato una specie di reset delle conoscenze acquisite.

Mi raccontava anche della sofferenza e prostrazione dei genitori, in particolare del padre, che era medico apprezzato a Cava de’ Tirreni (era stato anche sindaco) e che era quindi abituato a curare tanta gente, mentre di fronte alla malattia della figlia si vedeva impotente. Chiese perciò il consulto dei migliori luminari della medicina all'epoca da lui conosciuti, in particolare di Giuseppe Moscati, il santo, di cui era stato collega all'Università e di cui godeva amicizia e considerazione. Come nella commedia di Eduardo tutto si risolse in una notte.

Dopo il consulto con Moscati che venne a visitare la bambina a Cava e suggerí la cura, il nonno, che all'epoca era medico condotto a Pagani, tornato dal lavoro, sembrandogli quasi in fin di vita la figlia, pose sul lettino di mia madre una immagine sacra (non ricordo se di Sant’Alfonso, o della Madonna di Pompei o della Madonna delle Galline). Passò la nottata e la mattina dopo la febbre scese e iniziò la guarigione. Grazie alle cure di Moscati.

Mi è venuto in mente tutto questo che tanti anni fa mia madre mi raccontava, proprio stamane che è anche la festa liturgica di San Giuseppe Moscati, morto il 12 aprile 1927. Ci vorrebbe un altro Moscati adesso per quello che stiamo vivendo. Se non ci fosse stato lui, io non sarei oggi qui a raccontarlo.

LUIGI DE FILIPPIS