Le ricorrenze, così come i monumenti, hanno una funzione simbolica fondamentale: rimemorare. Ridare attualità critica alla storia, per esempio. O sottolineare la necessità di confermare un impegno, rilanciare un progetto. Possono, certamente, diventare presenze degradate nella banalità o riti vuoti, quando viene meno l’impegno a fare vivere il loro senso profondo. Un pericolo che va evitato. Ne sarebbe ferita la nostra stessa condizione umana, che si nutre di memoria attiva e di futuro. Oggi, 22 aprile è un giorno importante. La Giornata della Terra. E proprio adesso, in tempi di pandemia e recessione, ragionare di Climate Change e di sviluppo sostenibile, ambientale e sociale, significa usare bene ricorrenze e riti e insistere, al di là delle date simboliche, su progetti e scelte di salvaguardia e cambiamenti, sui necessari cambi di paradigma per vivere e lavorare meglio, sulle riforme indispensabili per un benessere più ampio, inclusivo, equilibrato (“Pianeta Terra chiama uomo”, nella “giornata della casa di noi tutti”, ha titolato efficacemente, in copertina, sabato scorso, “Robinson”, il settimanale culturale de “la Repubblica”).

Papa Francesco, con le sue encicliche e, da tempo, la migliore letteratura economica internazionale, insistono su questi temi. E proprio la pandemia da Covid-19, una malattia che non conosce confini e a cui si stanno dando, con vaccini e nuove terapie, risposte globali, sta facendo da straordinario acceleratore dell’urgenza di risposte concrete e lungimiranti alla crisi. Risposte scientifiche, politiche, tecnologiche, sociali. Le due dimensioni della sostenibilità, ambientale e sociale, sono interconnesse. Vanno considerate insieme, nella costruzione delle politiche, sia nazionali che globali, per raggiungerle. I 17 Sustainable Development Goals degli Accordi di Parigi per l’Agenda 2030 le tengono bene in stretta relazione. Il Recovery Plan della Ue, oramai in avanzato stato di elaborazione in tutti i paesi europei, insiste su Green Economy e Digital economy, ambiente e innovazione e sulle riforme per formazione ed economia della conoscenza, a vantaggio della Next Generation (il patto generazionale, da riscrivere, è una componente essenziale della sostenibilità sociale). E anche per il mondo della finanza i parametri Esg (Environmental, Social e Governance) su cui giudicare gli investimenti finanziari e le scelte societarie tengono in primo piano l’ambiente e le persone, oltre che la trasparenza e la correttezza della gestione delle imprese, a cominciare da quelle quotate in Borsa.

C’è un mondo in movimento, insomma. Cui continuare a guardare con molta attenzione. La competitività, e la produttività necessaria per raggiungerla, hanno proprio la sostenibilità come asset fondamentale. E le strategie delle aziende più dinamiche e di successo si muovono in questa direzione, come conferma l’andamento positivo del Dow Jones Sustainability Index (ne fanno parte undici italiane, Generali, Intesa, Leonardo, Pirelli, Poste, Telecom, Prysmian, etc.). Un’economia più responsabile, dunque. E un’idea dello sviluppo in cui profitti, cultura del mercato ben regolato, senso della comunità e democrazia possono stare insieme. “Unire etica sociale ed economia”, sostiene Ronald Cohen, finanziere e filantropo, in un colloquio con Mario Calderini, professore del Politecnico di Milano. Cohen è leader del Global Steering Group for Impact Investment, quel tipo di investimenti “con cui, insieme al profitto, ci si propone di conseguire un miglioramento concreto e misurabile nella condizione di vita delle persone e nell’ambiente”: “Un grande cambiamento valoriale, grazie al quale oggi nel mondo 30mila miliardi di dollari sono investiti per ottenere di più del solo guadagno finanziario”. E gli enti che fissano i principi contabili internazionali per calcolare il valore delle imprese “stanno introducendo la sostenibilità tra gli elementi indispensabile”. Dal valore economico ai valori sociali e ambientali.

Larry Fink, Ceo di BlackRock, il maggiore fondo di investimenti del mondo (9mila miliardi di dollari gestiti, compresi quelli dei fondi pensione di milioni di lavoratori), si muove da tempo secondo queste idee. Ne è stato anzi uno dei precursori. La sua “Lettera annuale agli investitori”, uno dei documenti guida dell’opinione pubblica finanziaria mondiale, ha proprio la sostenibilità come linea guida degli investimenti. E con Bill Gates sta programmando una serie di nuove iniziative sul fronte dell’energia sostenibile, seguendo le linee guida del recente libro di Gates (“Come evitare il disastro climatico”, appena pubblicato in Italia da La nave di Teseo). Adesso, pensando alle reazioni alla pandemia, Fink dice: “Il capitalismo ci ha salvati dal virus” (intervista a “la Repubblica”, di Mario Platero, 16 aprile), ricordando lo sforzo straordinario per arrivare in tempi brevi ai vaccini (una collaborazione tra ricerca scientifica e produzione industriale) ma anche le relazioni virtuose per fare fronte ai nuovi problemi della comunicazione tra le persone, del lavoro, della distribuzione di prodotti e servizi in tempi di malattia, clausura, mobilità ridotta. Auspica “una globalizzazione equilibrata”. E un’economia attenta ai profitti, certo, impegnata a rischiare e innovare, ma anche a tenere in primo piano i temi della solidarietà. E dunque sensibile soprattutto agli interessi e ai valori degli stakeholders, i lavoratori, i consumatori, le comunità, la società civile.

C’è un’altra testimonianza su cui vale la pena riflettere, a proposito di globalizzazione positiva e di sostenibilità sociale, di inclusione e di confronto tra culture diverse. Ed è quella di Albert Bourla, presidente e amministratore delegato di Pfizer: l’esperienza che ha portato al vaccino Pfizer “è un messaggio meraviglioso al mondo: un ebreo greco a capo di una multinazionale americana e i responsabili di BioNTech, turchi musulmani immigrati in Germania, collaborano senza nemmeno un contratto, per salvare il mondo. Il fatto di essere un immigrato penso sia la caratteristica più importante. In Pfizer con i miei figli abbiamo vissuto in otto città diverse di cinque Paesi. Questo ci ha dato il regalo più bello: essere esposti a culture diverse”. La sostenibilità è una condizione dialogante. Particolarmente favorita dalle culture democratiche e di mercato. Anche in questo caso, vale la pena riprendere in mano i classici, per ritrovarne radici e conferme. Per esempio, nelle pagine della “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” di John Maynard Keynes: “I sistemi statali autoritari odierni sembrano risolvere il problema della disoccupazione a spese dell’efficienza e della libertà. Quello che è certo è che il mondo non potrà sopportare ancora per molto una disoccupazione che, salvo alcuni momenti di euforia, è associata – e, a mio avviso, inevitabilmente associata – all’individualismo capitalistico di oggi. Ma è possibile invece, con una corretta analisi del problema, curare la malattia preservando, nello stesso tempo, l’efficienza e la libertà”.

Keynes morì giusto 75 anni fa, il 21 aprile. Il suo pensiero ha profondamente influenzato il dibattito politico ed economico della seconda metà del Novecento. In tempi di centralità crescente della sostenibilità, soprattutto sul piano sociale, ha ancora molto da dirci.

ANTONIO CALABRÒ