DI ADOLFO NARCISO 

Sulla banchina della "Nuova Immacolatella" v'era quel giorno un brulichìo insolito. Barcaioli, scaricanti del porto, operai, venditori ambulanti, posteggiatori, marinai, borghesucci, provinciali ed altri.

Di tanto in tanto, qualcuno tra la folla, facendo solecchio con le mani, aguzzava lo sguardo, scrutando lontano... il mare increspato, scintillante in quell'ora di luce dai diversi colori solcato da barchette sulla cui antenna imperava la vela latina, pareva invitasse il poeta a decantarne la beltà...

Voci di venditori, le guarrattelle, la sonnambula, 'O cantastorie, facevano cornice in quell'angolo rimasto ancora napoletano. Primo attore il pizzaiolo, irrequieto e canoro, gorgheggiava: 'A tengo chiena alice!... Più in là, quello delle zeppole canterellava: 'A pasta cresciuta 'e 'o sciore! Alle quali facevano coro: 'E taralle c' 'ammennole....nonché il venditore di polipi con le sue pentole dorate, pure lui cantore nella nostalgica esibizione: Màgnate 'a capa d' 'o purpo ca miette juricio!!

Tutto un quadro di folklore, delizioso, originale: Di botto una voce echeggiò: 'O vi' lloco! Sta arrivanno!..Gli sguardi di ognuno fissano un punto nero apparso all'orizzonte.'O vi' lloco!! Fu gridato per la seconda volta. Il transatlantico America si avvicinava ingrandendosi a colpo d'occhio. La sua sagoma superba si delineava sempre più. Dai fumaioli sortivano boccate di fumo, che, lontano, sembravano lanciate da mastodontici trabucos... La folla si accalcò intorno alla banchina e qualche fazzoletto sventolò. Le voci dei venditori aumentarono di tonalità. Una donna vestita in gramaglie, stringendo una bimba tra le braccia, asciugandosi gli occhi mormorò: Chi tene 'o coraggio e nce 'o dicere!

A pochi passi, una giovanetta bionda, vestita a nuovo, batteva le mani pel contento di riabbracciare il fidanzato... Più lungi un vecchio, mal reggendosi su le gambe, quasi cieco, poggiato al suo bastone, ripeteva a mo' di lamentevole ritornello: Totò, core 'e papà tuio da quant'anne nun te veco cchiù! Il piroscafo attraccò le grida più svariate partirono dalla banchina. Dal parapetto della nave si sporsero gli arrivati. Essi, attoniti contemplavano l'incantato panorama della città. Il pizzaiolo fe' riecheggiare la sua cantata pittorica, originale:'A tengo chiena alice!!

Dal bordo del bastimento una voce napoletana gridò: Pizzaiuó, 'a tiene una cu ll'uoglio e alice?! La gente si voltò... ed un grido eruppe dal petto di ognuno: Errico Caruso! Viva Caruso!! Proprio lui! Il divo dall'ugola d'oro. Ritornava da New York dai trionfi autentici! Era il suo primo viaggio oltre oceano. In un attimo sulla banchina si agglomerò un numero imponente di ammiratori: gli applausi ed evviva non furono lesinati all'usignolo napoletano, che nessun divo fino ad oggi ha supplito e supplirà. Caruso, sorridente, ringraziava sventolando il berretto. Non pochi americani gli facevano corona, deliziandosi alla scena che innanzi ad essi si svolgeva. Caruso mangiò la pizza con le alici, lì in mezzo ai signori de' dollari! Napoletano fino alla cima dei capelli... se ne infischiava di tutte le smidollate convenienze. E quando gli capitava trovarsi fra i suoi antichi amici, quelli dei tempi invernali, mostrava loro che le glorie, le ricchezze, gl'incensi di cui era stato fatto segno, non avevano per nulla cambiato i suoi primitivi sentimenti di artista venuto dalla gavetta!

Una frotta di artisti giunse in quel momento a salutare il Divo. Vecchi amici delle diverse scene, ridotti a passeggiare in Galleria. Enrico li accolse, abbracciandoli uno per uno. Non pochi furono i beneficiati. Quando scese dal piroscafo, la dimostrazione affettuosa ripigliò, nuovi abbracci, strette di mano e saluti, dissero ancora una volta al cantore celeberrimo che il cuore di Napoli palpitava col suo. Le carrozze con i cavalli bardati a festa erano lì ad aspettare. Errico, la sposa e la sua bimba Gloria, alcuni americani ed uno stuolo di amici, vi montarono. I conducenti schioccarono le fruste ed i corsieri si mossero. Mèta del nuovo viaggio: il Santuario di Pompei. Il tenore mondiale era un devoto, fervente della Vergine miracolosa del tempio di don Bartolo.

Un odore d'incenso, le note dell'organo e i ceri accesi sull'altare davano un aspetto di misticismo solenne. Errico s'inginocchiò e, chinato il capo, rimase assorto nella dolce preghiera. Il sacerdote celebrò la messa; all'elevazione, quando i fedeli, genuflessi, battendosi il petto invocano il perdono, dagli occhi del Divo sgorgarono lacrime Forse in quell'istante sentì la sua prossima fine. E chissà non abbia chiesto alla Vergine la suprema grazia di spegnersi in Napoli la sua città nativa

Terminata la funzione il tempio si sfollò. Solo Errico sembrava non sapersi staccare dal sacro luogo. Alfine si scosse e rialzatosi si recò come altre volte in sagrestia a lasciare la sua generosa offerta per gli orfanelli.

A Torre del Greco si sostò alla Trattoria Mimì a mmare a Cupa Calastro. Il padrone nel rivedere Caruso gli corse incontro sberrettandosi: Cummendató, ben tornato! Viate chi vi vede.... E felice chi ti gode!! Interruppe il tenore con il suo solito buon umore. E battendogli la mano sulla spalla con famigliarità soggiunse: Vide chello che hî 'a fà! Fatte onore! Non ti dico altro! .L'oste s'inchinò e scomparve in cucina. Uscirono tutti sulla terrazza. Il cielo vermiglio si rifletteva nel mare. Un leggiero venticello dal profumo di marina solleticava le nari ed il palato -Mimì, fa ampressa ca 'a truppa se revota!!! Gridò il tenore al cantiniere che fe' sentire la sua voce di rispettoso assenso. Gli occhi del cantore si fissarono su di una madonnina di pietra situata sul frontespizio della chiesetta in riva al mare. Quanto amore ispira nei cuori doloranti quel simbolo di cristianità disse sospirando ad uno dei commensali....È la Madonna del Principio. Quella che guida e protegge i marinai nei giorni di tempesta! Errico la guardò con venerazione. - Quanta fede religiosa v'è nel mio paese!... Qui tutto è poesia, gentilezza...umanità... Ah, se potessi rimarrei per sempre in questa terra fatata! - Chi ve lo vieta?! - domandò il suo vicino.-L'arte! La così detta gloria! Nemica d'ogni felicità!

L'oste fe' capolino:- Commendató, nuie simme pronte!! I vermicelli sono in tavola!...Seguono: i pollastri, 'o fritto misto, ho preparato delle gustose ostriche ed il solito vino imbottigliato.... - Mimì tu si gruosse! Ma il vero responso te lo darò dopo i vermicelli.

I maccheroni fumigavano. Il profumo di vongole si spandeva per la sala. Un raggio di sole inondò di luce d'oro la pietanza napoletana come a renderle omaggio pel trionfo meritato. I commensali sedettero. E per un momento nessuno parlò più. Unica voce il tintinnìo delle forchette arrotolanti nei piatti i pomidorati vermicelli. L'oste accorse rimanendo in attesa. Il Divo aprì una valigetta e trattane una sua fotografia vi scrisse al margine: A Mimì a mmare 'o Rre d' 'o vermiciello a vvongole!! Errico Caruso. E consegnandogliela disse: Ecco il responso!... Un applauso coronò il verdetto assolutivo. Mimì commosso per tanto onore la baciò e balbettando ringraziamenti esclamò: Commendató sta fotografia è 'o cchiù gruosso onore da vita mia!...

Una vecchia foto della Trattoria Mimì a mmare a Torre del Greco

Il pranzo proseguì con successo. I pollastri, il fritto misto, le ostriche, la mozzarella, il vino, la zuppa inglese, frutta, caffè, liquori, champagne aumentarono l'allegria e le lodi più sperticate non furono lesinate al cuciniere.

Uno strimpellìo di strumenti a corda fe' sussultare i banchettanti. I posteggiatori attendevano nella stanza attigua, erano giunti allora chiamati d'urgenza. Ma d'un tratto s'intesero dei rumori. I gavottisti sembrava questionassero. Errico si alzò chiamò il padrone per sapere.- Commendató, se stanno appiccecanno pe gelusia 'e mestiere...- Come sarebbe a dire?...- So' dduie gruppe 'e pusteggiature e ..vonno trasi' tutte e dduie!...- Falli entrare! - Trasite!...

I primi a comparire furono un uomo alto dai capelli incanutiti, suonava la chitarra; l'altro, un vecchietto magro e piccolino assai innanzi negli anni, suonava una specie di ottavino. Entrati fecero per inginocchiarsi esclamando:- Commendató nuie ve sapimmo giuvinotto!! Avimmo girato insime con voi pe' sserenate 'e società. Ricordate il Caffè dei Mannesi all'angolo del Duomo? Caruso li squadrò, quasi non credendo ai suoi occhi ed abbracciandoli gridò: - Ciccio 'e Giorgio e Cicciotto 'o tintore!!- Proprio noi!!... E ridotti in questo stato!! Errico addolorato li fe' sedere ordinando l'istesso da lui consumato....

Entrarono gli altri. Gli strumenti strimpellarono. Le canzoni di Napoli furono passate in rassegna. Caruso era triste. Quei due vecchi gli ricordavano tante cose. La sua prima giovinezza, le ansie, la povertà, le ore allegre i primi amori i trionfi sui bagni alla Marinella, le serate allegre fra tarallucce e vino, con i caffè concerto e le cenolelle di quei dì. - Tutto passa!.. esclamò con dolore. A che valgono le ricchezze, le glorie, gli onori. Mi sentivo più felice nella mia oscurità! Ciccio 'e Giorgio e Cicciotto si alzarono. Il flauto trillò accompagnato dalla chitarra. Era un canto siciliano che Cicciotto ai suoi tempi entusiasmava. Caruso n'era innamorato; Cicciotto cantò e giunto al ritornelo: St'uocchi beddi sta vucca di rose sti tuoi vizzi...sti duci parole M'incantinasti. Beddicchia stu core E l'apparenza ingannari mi fa... Enrico, che, con la testa tra le mani era rimastio pensoso al finale si scosse; corse incontro ai due amici e abbracciandoli nuovamente domandò loro tante cose. Le ore erano trascorse. Ciccio 'e Giorgio non volle andar via senza aver cantato egli pure la sua caratteristica cavatina: Lo guarracino. Ed impadronitosi della chitarra di Cicciotto principiò: Lu guarracino che ghieva p' 'o mare ieva truvanno 'e se nzura'! se facette nu bellu vestito de scarde de pesce pulito pulito! ecc. ecc.

Al finale gli applausi non si contarono. Errico Caruso, commosso si congratulò e stringendo nelle loro mani due biglietti da cento li congedò con la promessa di rivederli a Santa Lucia.

Quando Caruso si spense, ero a Roma e per di più impossibilitato a potermi muovere! Ricordai e piansi più che il celebrato artista, l'amico lontano dei miei giorni più belli. Ritornato in Napoli n'erano trascorsi degli anni. In una sera d'agosto, una comitiva di amici mi condusse a Torre del Greco alla Trattoria di Principio. La comitiva la capitanava il conte Giuseppe Matarazzo di Licosa. Il mecenate aveva invitato un numero di poeti, pittori, giornalisti perché rendessero con la loro presenza più solenne la sorpresa che egli faceva al suo amico, il valoroso pittore Nicolas De Corsi ch'era lì a villeggiare..

Il pranzo ordinato per le otto di sera mancavano due ore ancora ne approfittai per recarmi alla Trattoria di Mimì a mmare poco lungi. Rividi il padrone e riparlammo di Caruso. La sua fotografia campeggiava nel centro del salone. Rilessi la dedica:"A Mimì a mmare 'o Rre d'o vermiciello a vvongole. Errico Caruso"- Lo rivedeste ancora? Domandai ansioso.- L'ultima volta quando recò il cero alla Madonna di Pompei e fece il voto!- E poi...- E poi...si spense la più bella voce!! Il cantiniere non trovò la forza di proseguire. Mi strinse la mano e si allontanò. Mi riaffacciai alla terrazza: la Madonna del Principio era lì, come l'aveva vista Errico in quel pomeriggio di Luglio. Un nodo mi strinse la gola.

In quell'istante mi sentii meno di un granello di sabbia dinanzi all'eternità! E pensai: Il cantore sublime dorme in questa istessa ora il suo ultimo sonno lì sulla ridente collina di Poggioreale. Minuscole parentesi: la gloria. I battimani, le ambizioni..i sorrisi della folla tutto si infrange e precipita nel nulla. Mimì a mmare 'o Rre d' 'o vermiciello a vvongole se ne andò pure lui. I giornali napoletani ne descrissero il lato caratteristico nonché gli episodi principali svoltisi sotto il suo imperio in quel salone prospiciente alla marina, la più poetica del mondo. Non pochi rimpiansero la dipartita del popolano che tanta storia e segreti portò con lui (sic) nella tomba. L'ultima volta che vi ritornai: il ritratto con la dedica di Errico Caruso non vi era più.

Adolfo Narciso

( da "Napoli col suo manto di sole" )  

Nei racconti di Adolfo Narciso (Napoli 1870 – Napoli 1948) vengono narrati suggestivi aspetti di Napoli tra '800 e '900. L'ex attore di café-chantant, che aveva collaborato col tenore Enrico Caruso e con l'attore Raffaele Viviani e tanto si era impegnato per raggiungere una certa fama (nel primo ventennio del '900 divenne il beniamino del celebre "Eldorado Lucia"), dopo la perdita dell'occhio destro al culmine della sua carriera di artista, si improvvisò giornalista e scrittore per continuare ad essere protagonista di quel mondo che tanto amava. Collaborò con articoli di ricordi teatrali con il Giornale d'Italia, con il Mezzogiorno e con il Roma della Domenica. Raccolti in volumi, i suoi scritti sono un'immensa fonte di notizie e aneddoti sugli interpreti della canzone e del teatro napoletano tra '800 e '900.