Una delle principali caratteristiche degli italiani è l'arte di arrangiarsi: quell'arte - se così si può definire - che ha consentito al nostro popolo di superare spesso le alterne e non sempre facili vicende della sua storia. L'italiano si adatta, si uniforma agli eventi, si adegua. Questa caratteristica sembra più che mai idonea anche nel determinare il comportamento delle forze politiche nella drammatica vicenda che il paese sta attraversando a causa della pandemia che, inevitabilmente, richiede di privilegiare, nei partiti, la concretezza rispetto alle teorie e agli stessi principi ideali. Del resto, la maggioranza che sostiene l'attuale governo, composta da partiti che sinora si erano schierati su fronti opposti, è manifestazione evidente che non esistono più linee di demarcazione che impediscano la collaborazione tra forze "diverse".

Non è cosa che possa stupire più di tanto se si considera che molte differenze sono già state abolite con la cosiddetta "morte delle ideologie". La diversità, dunque, non si fonda sulla differenza di ideali, su non coincidenti visioni del mondo, ma ha una natura squisitamente pragmatica. Si tratta, cioè, del modo in cui ciascun partito propone di affrontare, nella pratica quotidiana, i problemi concreti che di volta in volta, si presentano. La novità sta proprio in questo, come dimostra il fatto che, dopo la fine della cosiddetta Prima Repubblica, gli orientamenti degli elettori sono diventati mutevoli e le loro scelte sono cambiate, di elezione in elezione, a differenza di quanto era sempre accaduto dal dopoguerra in poi. L'esplosione della pandemia ha notevolmente accentuato questo stato di cose rendendolo probabilmente irreversibile e incidendo, conseguentemente, sul modo di essere dei partiti che, per dirla con un'abusata espressione "non sono più quelli di una volta".

Anche la loro struttura interna si è, pertanto, profondamente modificata e, per rendermene conto, è sufficiente aver riguardo alla loro organizzazione. Gli organi collegiali non contano ormai quasi più nulla. Ad essi si è sempre più sostituito "l'uomo solo al comando". È il leader a decidere e a operare le scelte da compiere, almeno sino a quando non viene sostituito e quasi sempre ciò avviene mediante una congiura di palazzo. È fuor di dubbio che, nell'ultimo periodo della Prima Repubblica, i partiti avevano subito una mortificante degenerazione, trasformandosi da organi di elaborazione del pensiero e dell'azione politica in onnivori strumenti di corruzione: una degenerazione che portò a Tangentopoli e, conseguentemente, alla stessa fine di quelle forze politiche che pure avevano contribuito all'evoluzione postbellica del paese in modo non spregevole.

Una riforma di quelli che erano diventati veri e propri comitati d'affari, dunque, s'imponeva. Ma la riforma si sta ora realizzando sulla scia degli eventi, confermando l'antica teoria secondo cui il diritto nasce dal fatto. Si va, quindi, inesorabilmente, verso partiti che faranno riferimento pressoché esclusivamente alla figura del leader. È non è detto che questo sia un passo avanti per lo sviluppo democratico del paese.

OTTORINO GURGO