Di Giuseppe Colombo

Il 18 dicembre 2022 sarà il giorno della finale dei mondiali di calcio in Qatar. E sarà anche uno dei giorni in cui in tutto il mondo spenderà di più per comprare i regali di Natale su Internet. Tutto su Amazon. Eccola l’immagine che consegna l’ultimo atto della pervasività della creatura di Jeff Bezos, la multinazionale che non solo aggiunge un altro pezzo di business ad innumerevoli pezzi di business, ma che prosegue nella sua evoluzione: diventare nuovo sistema industriale e sociale. Un conglomerato onnicomprensivo, arrivando dappertutto con tutto. Non è solo una questione di soldi legati al quarto evento sportivo più ricco al mondo, alle spalle solo del Super Bowl e delle Olimpiadi estive e invernali. È la possibilità di farsi diffusore e palcoscenico di un evento di massa, considerando che gli ultimi mondiali in Russia sono stati visti da 3,5 miliardi di persone. Ma soprattutto è un’altra possibilità di tenere insieme consumi differenti, rispondendo alle esigenze multitasking di una popolazione mondiale che potrà comprare una lampada o un tappeto su Amazon seduta su quel divano da dove guarderà la partita di calcio più prestigiosa, in tv o sul cellulare. Chiedendo ad Alexa, l’assistente personale intelligente ideato sempre da Amazon, di spegnere le luci o di ascoltare le notizie del giorno. Tutto si fa su Amazon e con Amazon. Anche il caffè, sempre tramite Alexa incorporato in una macchina ad hoc. O comprare un medicinale per il diabete, stipulare un’assicurazione per la macchina, chiedere un prestito se si è un piccolo imprenditore. Ancora, curarsi su Amazon: per ora è riservato ai dipendenti, ma il progetto è di estendere a tutti la possibilità di cliccare su un’app e ricevere l’indicazione medica da uno specialista. E poi comprare una cucina sul sito di un’azienda del settore usando un account, cioè un’identità, Amazon. E guardare tutto su Amazon, non solo il calcio che arriverà a breve: film e serie tv. Amazon li fa e li distribuisce. Ogni azione quotidiana è legata a Amazon. Anche organizzare un viaggio, comprando un pacchetto vacanze. Oltre a tutte le cose che si fanno attraverso gli acquisti. Con Amazon ci si veste, si cambia il mobilio di casa. Si possono comprare libri per istruirsi o come hobby. In questa evoluzione, slegata da business specifici e limitati e che anzi si colloca su un unico mercato (quello mondiale), Amazon si tira dietro anche altre questioni. Tutte indicative dell’ambizione di farsi rivoluzione industriale e nuovo sistema produttivo e di consumo esclusivo. Le questioni sono le nuove relazioni industriali, la difficile e scivolosa contesa con chi difende l’assetto tradizionale dei diritti lavoratori mentre la logica della nuova economia, non solo quella dei pacchi ma anche quella digitale, spinge per ridisegnarli. A cascata l’accelerazione del deterioramento progressivo del ruolo di intermediazione dei sindacati in un mondo del lavoro che preme per circoscrivere il tutto a un rapporto one to one tra il capo area che organizza l’uscita del pacco dal magazzino e il corriere che lo trasporta sul furgoncino. Ancora l’aspetto sociale, che altro non è il modo in cui Amazon è entrato nella quotidianità di tutti per cui tutto si trova su Amazon e tutto si può fare con Amazon. Solo per restare a uno dei business di Amazon, il più forte, quello dei pacchi: secondo uno studio recente di Izi con Comin&Partners, gli acquisti online degli italiani sono diventati un’abitudine per sei su dieci. L’ampliamento delle attività di business è il pilastro di questo disegno perché se la logica è quella onnicomprensiva - quella cioè di contare sul mercato mondiale a sua volta fatto di milioni di mercati specifici - l’unico modo per tirare su questa logica è essere presente in più business possibili. E quindi in più Paesi possibili. È la legge dei grandi numeri, il protocollo del capitalismo classico, il tentativo di farsi monopolista o al massimo big player tra pochi big player. Non è un caso se Amazon ha 175 centri di distribuzione operativi in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Cina, ma anche innumerevoli centri di sviluppo del software da Dublino a Hyderabad, in India. Una penetrazione capace di renderla il terzo datore di lavoro al mondo, con più di 1,2 milioni di persone impiegate, dietro solo alla statunitense Walmart e alla China National Petroleum. Ma con un ritmo che secondo le previsioni di molti analisti la porterà a scavalcare entrambe nel giro di due anni. In sintesi: avere le mani più business, in quasi tutti i Paesi del mondo, e generare non solo consumi globali. Tenendosi in piedi su un lavoro globale. Basta scorrere tutte le attività in capo ad Amazon per rendersi conto di questa pervasività. La piattaforma di Amazon permette di acquistare di fatto qualsiasi cosa e di farsi recapitare il pacco a casa in pochi giorni. Poi c’è Prime Video, un servizio di on demand che permette di guardare film e serie tv a costi molto contenuti. Ed è gratis per chi è già abbonato ad Amazon Prime, il servizio che permette di ricevere i pacchi a casa con tempi di consegna ridotti rispetto a quelli del servizio base. L’incrocio tra Amazon Prime e Prime Video, cioè tra i pacchi veloci e i film in streaming, è un altro esempio di quell’intreccio costante tra diversi business e modelli di consumo che è alla base della logica della multinazionale che ambisce a farsi sistema industriale e sociale. Quindi i pacchi, dove Amazon è leader, e poi lo streaming. Qui Amazon gioca nel campo di Netflix, Apple TV+, HBO Max, Hulu, Peacock e Disney+. Conta 170 milioni di abbonati, ad appena 30 milioni da Netflix che ha nella piattaforma di streaming il suo unico business. Mentre Amazon, come si diceva, gioca su più mercati. In sintesi: è vicina ai top player anche in mercati singoli, specifici, tiene il passo delle multinazionali che fanno solo quello e nient’altro. Proseguendo ancora nelle attività del grande business di Amazon: i farmaci. Negli Stati Uniti è stato lanciato Amazon Pharmacy per comprare farmaci e medicinali vendibili dietro prescrizione medica, oltre a quelli da banco. Significa contare in un mercato, quello della farmaceutica, che vale più di 300 miliardi di dollari all’anno e che è in crescita costante. Poi ci sono i prestiti di Amazon Lending per i piccoli imprenditori, altro business in espansione nonostante la pandemia. Ultimo, in ordine di tempo, il business dei mondiali di calcio. Anche qui un nuovo ribaltone in uno dei consumi globali per eccellenza. Dopo essersi aggiudicata i diritti per 16 partite in esclusiva a stagione della Champions League fino al 2024, ora Amazon ha preso 36 partite, più semifinali e finale dei mondiali in Qatar del prossimo anno. Anche la Rai avrà un suo pacchetto di partite, ma il dato è un altro. E cioè che Amazon è entrato nel mercato del pallone. Già terremotato negli ultimi dieci anni dalla pay tv che ha fagocitato la tv pubblica e quella commerciale di Mediaset. A sua volta messo a soqquadro dalla perdita progressiva di peso di Sky e dall’ascesa di Dazn che si è presa la serie A per i prossimi tre anni. Amazon aggiunge un’ulteriore evoluzione: irrobustisce la migrazione del calcio dalla tv allo streaming, di fatto impone il nuovo protocollo a un livello ancora più alto, come è quello dei Mondiali. È un altro esempio di quella trasversalità di business che mette in affanno i player tradizionali dei singoli mercati. Mercati anch’essi mondiali o comunque divisi in grandi aree, ma dove si deve giocare anche con le tecnologie e con i soldi adeguati. O il rischio è di non arrivare da nessuna parte, mentre qualcuno ambisce ad arrivare dappertutto.