Dalla Redazione

Questa norma non è una esclusiva della Costituzione italiana, ma è comune alla quasi totalità delle democrazie rappresentative. E deriva dal principio del libero mandato (ovvero del divieto di mandato imperativo), formulato da Edmund Burke, detto il Cicerone britannico, politico, filosofo e scrittore di origine irlandese, nonché uno dei principali precursori ideologici del Romanticismo inglese. Nel suo Discorso agli elettori di Bristol, tenuto il 3 novembre 1774, dopo la sua vittoria elettorale in quella contea, propugnò la difesa dei principi della democrazia rappresentativa contro l'idea, da lui considerata distorta, secondo cui gli eletti dovessero agire esclusivamente a difesa degli interessi dei propri elettori. Sosteneva che “Il Parlamento non è un congresso di ambasciatori di opposti ed ostili interessi, interessi che ciascuno deve tutelare come agente o avvocato; il Parlamento è un’assemblea deliberante di una Nazione, con un solo interesse, quello dell'intero paese, dove non dovrebbero essere di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale”. In altre parole, questa assenza di vincolo di mandato appare il frutto di una concezione idealistica del parlamentare, immaginato come missionario del bene comune, privo di interessi personali e scelto a prescindere da questi, da una popolazione attenta solo al bene comune e disinteressata a livello personale. L’assenza del “vincolo di mandato” consentì nel 1881 ad alcuni parlamentari di passare dalla Destra alla Sinistra per sostenere il governo di Agostino Depretis (“Non per motivi di idee e di programmi ma in cambio di favori personali” scrisse Depretis nelle sue “Memorie”). E fu allora che nacque il cosiddetto “trasformismo”, ossia il passaggio dei parlamentari da un gruppo all’altro, praticato nel Parlamento italiano fino alla sua sostituzione con la Camera dei Fasci e delle Corporazioni con deputati solo fascisti. Ma i nostri padri costituenti, anzicchè preoccuparsi di impedirlo, lo hanno favorito e legittimato con l’art.67 della Costituzione secondo cui “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. È vero che i parlamentari operano in un contesto dominato dai partiti che tendono a condizionare pesantemente il loro “operato senza vincoli” ritenendo che sono chiamati a operare in nome di preci interessi politici di parte e non per il “bene generale”. Ma è anche vero che se ne infischiano del loro mandato e passano con disinvoltura da un gruppo a un altro per i motivi più vari. Talvolta per non subire le direttive del partito in cui è stato eletto. Talvolta per soldi visto che Antonio Di Pietro, segretario dell’IdV e ministro, denunciò nel 2006 “la compravendita di senatori”. E ci fu un processo a Napoli. Al di là delle opinioni sulla concezione di Burke sta di fatto che gli elettori votano i candidati del partito il cui programma difende i loro interessi economici e la loro visione politica della società. E gli conferiscono un preciso mandato, cioè una autorizzazione ad agire per loro conto, per un fine predeterminato, sulla base del quale i candidati si sono presentati e sono stati eletti. Quindi, se il mandato esiste, chi lo riceve non può non essere vincolato a rispettarlo, oppure il mandato non esiste, ed allora non sussiste il vincolo. Il dettato costituzionale è contraddittorio in termini, assumendo l'esistenza di un mandato che tuttavia non è tale. Come che sia ci sono due modi per eliminare il “trasformismo”, che cambia l’assetto politico del Parlamento uscito dalle elezioni. Come l’attuale. Uno è quello indicato da uno dei più prestigiosi padri costituenti, Costantino Mortati: “Il parlamentare rappresenta il partito che lo ha candidato e fatto eleggere e quando non intende condividerne le decisioni ha l’obbligo dimettersi. L’altro modo è quello di abolire l’articolo 67. Ma dubito che i partiti vogliano eliminarlo perché il “trasformismo” conviene a tutti.