Tra il 13 e il 14 ottobre del 2000 qualcuno pensò che non c’erano alternative e che il piccolo ponte tra Ostiglia e Revere, nel mantovano, doveva saltare per aria. Lì dove il Po è praticamente un imbuto, con le due sponde che distano appena 500 metri. Stava arrivando una piena di oltre 12mila metri cubi di acqua al secondo. E con l’acqua stava arrivando la grande paura, quella di una nuova esondazione, così imponente da ricordare il 1951, quando l’argine maestro del fiume ruppe a Vallone di Paviole e inondò le campagne del Polesine, provocando 200 morti, 160mila sfollati e 250 miliardi di lire di danni. Alla fine il ponte rimase in piedi, ma al fiume bisognava dare spazio e si decise allora di fare saltare una golena - quel pezzo di terra che va dal letto del fiume all’argine - a San Daniele Po, nel cremonese, novanta chilometri più indietro. Ventuno anni dopo il Po ha ancora bisogno di spazio. Questa storia, oggi, prova a riscriverla il Recovery. Inizia dal fiume e finisce nell’erbetta di un campo da calcio.

Allagare per mitigare le piene. Il Po si “allargherà” e farà da spugna - Il progetto inserito dal Governo nel Recovery per rigenerare il fiume, non solo dal punto di vista della sicurezza e dell’ambiente, si chiama rinaturazione del Po. L’hanno scritto il Wwf e Anepla, l’Associazione nazionale estrattori e produttori lapidei e affini, in pratica le imprese che operano nel settore dell’estrazione e della produzione di materiali connessi all’edilizia e non solo. E già questa è una notizia perché ambiente e industria sono spesso inquadrati in Italia (e non solo) come incompatibili. La storia, anche più recente, è piena di esempi che danno forza a questa visione. L’ex Ilva di Taranto, la grande acciaieria italiana messa in crisi dall’incapacità di trovare un equilibrio tra queste due dimensioni, è lì a ricordarlo.

Ma ora sono le regole del Recovery a spingere verso investimenti puntati sul cosiddetto sviluppo sostenibile, dove il green deve essere anche generatore di posti di lavoro e non solo di bonifiche in quanto tali. Il Governo ha fatto suo il progetto e gli ha riservato 357 milioni. Ma torniamo al Po. Saranno 37 le aree che saranno soggette a diverse operazioni all’interno di un’area molto più grande, per la precisione 32mila ettari che vanno dalla provincia di Pavia a quella di Rovigo, coinvolgendo Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Altre sette aree invece riguarderanno il delta del Po, lì dove il fiume si getta nell’Adriatico dopo aver percorso la Pianura Padana. Tutto quello che si proverà a fare con i 357 milioni a disposizione riguarda la fascia di pertinenza fluviale, cioè quei vasti pezzi di terra che vanno dal letto del fiume, dove scorre l’acqua, agli argini maestri, le barriere che servono a contenere le piene eccezionali.

Il Po si allargherà innanzitutto per non ritrovarsi alla prossima piena con i cosiddetti tappi che provocano le esondazioni. E per questo la prima operazione consisterà nella riduzione dei pennelli. Sono chiamati anche difese spondali e furono costruite dal Dopoguerra in poi per favorire la navigazione. Sono massi, grandi sassi a volte cementati tra di loro. Le chiamano le massicciate.

Erano altri tempi e c’erano altre necessità. Oggi che la navigabilità non è la priorità (ma l’intervento non determinerà comunque una riduzione della navigabilità stessa), meno pennelli o pennelli più bassi significa che ci saranno più rami laterali del fiume. Basta guardare un’immagine satellitare del Po per capire come cambierà. In alcuni punti ha delle curve perfette, che non sono però naturali, ma tali perché disegnate così dai pennelli. In questo modo il fiume è costretto a seguire il canale attuale mentre con meno difese spondali avrà più spazio, ritornando in parte a essere come 50 anni fa. L’acqua non troverà più un ostacolo e scorrerà anche nelle zone laterali. Allagare per mettere in sicurezza il fiume. Lo spiega Andrea Agapito, responsabile Acque del Wwf Italia: “I rami laterali del Po si sono interrati o tendono a chiudersi per via dei pennelli. Una volta tolti con le ruspe, la velocità di corrente dell’acqua durante le piene sarà rallentata perché il fiume ha più spazio e così scaricherà meno velocemente a valle”.

C’era vita vicino al letto del fiume. Il depuratore naturale che farà risparmiare fino a 3,8 milioni - L’acqua arriverà così nelle lanche. Sono i rami abbandonati del Po: qui una volta l’acqua scorreva a ritmo sostenuto, poi il fiume si è allontanato e ha lasciato al suo posto zone umide. Ora l’acqua tornerà e riattiverà un habitat naturale. Come nella zona tra Cremona e Mantova, dove c’è una grande concentrazione di allevamenti e dove la presenza di questi ambienti umidi, spesso con boschi, fungerà da depuratore naturale. La capacità autodepurativa delle nuove zone umide, dislocate su 1.560 ettari, genererà un risparmio sul fronte dei costi di trattamento delle stesse zone compreso tra 360mila e 3,8 milioni di euro. E il Po diventerà in questo caso come una spugna: durante le alluvioni, infatti, questi ambienti tendono a trattenere l’acqua, mentre nei periodi di siccità l’acqua viene rilasciata al fiume. Anche in questo modo si proverà a tenere in equilibrio le piene e la siccità estiva.

Il ritorno dei salici bianchi e dei pioppi. E il Po si difenderà dalla zucchina americana che infetta le coltivazioni - I 357 milioni serviranno anche a piantare salici bianchi, pioppi e querce in 337 ettari, soprattutto nelle aree demaniali e nei siti naturali che costeggiano il Po. Sono le specie tipiche della Pianura Padana e capaci di resistere anche se finiscono sott’acqua. La riforestazione ha un obiettivo importante anche dal punto di vista ambientale ed economico: l’assorbimento di carbonio previsto porterà meno CO2 e un risparmio di 1,1 milioni. I soldi del Recovery saranno impiegati anche per difendere i saliceti invece che i pioppeti dalla cosiddetta zucchina americana. È una pianta rampicante che arriva dal Brasile e che di fatto soffoca gli alberi. Più volte all’anno si interverrà per tagliarla e triturarla.

La sabbia del Po finirà nell’erbetta dei campi di calcio. Ma anche nell’anti-muffa per le pareti di casa - Per anni c’è chi ha rubato la sabbia del Po. Di notte alcuni barchini partivano dalla provincia di Reggio Emilia e andavano a scavare nel fiume. Poi la sabbia veniva rivenduta in nero e a un prezzo altissimo perché è sabbia silicea, già raffinata, pulita, non ha bisogno di grossi trattamenti ed è molto utilizzata soprattutto nell’edilizia. Quando si apriranno le lanche con le ruspe ci saranno 51 milioni di tonnellate di materiale da spostare da qualche parte. La maggior parte sarà sabbia. Sarà commercializzata all’interno dei piani cave provinciali, istituiti per mettere ordine al disordine degli anni ’70, quando non c’erano leggi che regolavano gli scavi dentro i fiumi. E questo ha creato non pochi problemi perché meno sabbia significa che l’alveo del fiume si abbassa, ma anche che aumenta l’erosione e che arriva meno sabbia al mare. Ne sa qualcosa la costa verso il Delta del Po, che sta arretrando proprio perché arriva meno sabbia, in parte determinata anche dal “tappo” della diga di Piacenza e di altre barriere lungo il corso del fiume.

Dove finirà la sabbia del Po? Prevalentemente nell’edilizia, ma non solo nel calcestruzzo. Diventerà materia prima per colle, malte, i materiali anti muffa per le pareti di casa, ma anche per vernici, vetro e ceramiche. Andrà a finire anche nelle spiagge e nei campi di beach volley. Ma anche negli stadi, precisamente nei manti erbosi di nuova tecnologia. Ancora nei campi da golf e nei prodotti per il giardinaggio.

L’effetto leva sui posti di lavoro. Un euro speso in manutenzione ne farà risparmiare venti - Il progetto, come si diceva, è stato scritto anche da Anepla. Saranno le imprese a dovere ricreare gli habitat nelle zone umide. Quindi nuovi posti di lavoro. L’impatto sarà determinato nei mesi prossimi, quando si procederà con il bando di gara per l’aggiudicazione dei lavori. Ma si sa già che saranno coinvolte imprese per fare lavori di difesa fluviale, quindi gli edili, e per lavori di ripristino, quindi i vivaisti e chi opera nel campo dell’agricoltura. “Siamo il Paese che interviene sempre post tragedia e mai con una pianificazione a monte. Mettendo in sicurezza il Po si potrà risparmiare sensibilmente se si considerano i costi del pronto intervento che viene attivato costantemente. La leva è 1 a 20 euro: un euro speso in manutenzione fa risparmiare 20 euro di interventi ex post”, spiega a Huffpost il presidente di Anepla Claudio Bassanetti.

Il “nuovo” Po fiancheggerà la ciclovia Vento, i 705 chilometri in bici da Venezia a Torino. L’indotto dell’area Unesco Po Grande - Il progetto di rinaturazione del Po impatterà anche sul turismo, in particolare su quello legato alle bici. Tutti gli interventi, infatti, renderanno più fruibili le zone in prossimità della ciclovia Vento, i 705 chilometri che vanno da Venezia a Torino proprio lungo il Po, con un collegamento a Milano lungo il Naviglio Pavese. E impatterà anche sull’indotto della riserva della biosfera del Po grande, riconosciuta dall’Unesco. Si trova nel tratto centrale del Po, comprende 13 habitat di interesse comunitario e tira dentro 85 Comuni e 3 Regioni (Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia). Dentro ci sono attività turistiche, enogastronomiche, ma anche agricole. Tutte potranno usufruire del riavvicinamento al fiume.

E nelle zone umide ci saranno anche sentieri didattici e punti di avvistamento. In molti punti potrà avvenire quello che è accaduto a Suzzara, nel mantovano, sulla riva destra del Po. Qui sorge un parco dove è stato ripristinato l’ambiente naturale. Ci sono circoli ricreativi e barconi galleggianti. D’estate diventano punti di ritrovo molto frequentati.